Dos monjes
Dos monjes
Durata
85
Formato
Regista
Al monaco Juan (Víctor Urruchúa) viene chiesto di assistere Javier (Carlos Villatoro), un altro religioso sospettato di possessione per via della sua irrequietezza. I due si scontrano e, in confessione, raccontano due versioni della stessa storia: il loro amore per Anita (Magda Haller).
Un film che sfrutta la classica ambientazione gotica del monastero per raccontare un melodramma tormentato dal senso di colpa, attraverso un riuscitissimo stile espressionista fatto di poche luci e tante ombre che circondano la pellicola di un’atmosfera lugubre e malsana. I due protagonisti sono innamorati della stessa donna (pur non mancando un vago sottotesto omoerotico) e la loro grande amicizia non regge la tensione: il rapporto si incrina fino a spezzarsi, mutandosi in un odio che non si affievolisce con il tempo. Amore e morte viaggiano a braccetto tra scene di inquietante onirismo che annunciano la tragedia. Juan Bostillo Oro sceneggia, dirige e monta una pellicola innovativa per il cinema messicano dell’epoca sia per quanto riguarda il genere scelto, diventando un originale apripista per l’horror di matrice anglosassone nel Paese, sia per la narrazione che si biforca e mostra due prospettive distinte dello stesso avvenimento, consegnando allo spettatore una visione contraddittoria e ricca di dubbi. In questo senso, anticipa di ben sedici anni quel RashÅmon che porterà questa struttura al suo apice artistico-teorico, a dimostrazione della fecondità di idee del cinema messicano nel suo periodo d’oro. La bella fotografia è di Agustín Jiménez, futuro collaboratore di Buñuel.
Un film che sfrutta la classica ambientazione gotica del monastero per raccontare un melodramma tormentato dal senso di colpa, attraverso un riuscitissimo stile espressionista fatto di poche luci e tante ombre che circondano la pellicola di un’atmosfera lugubre e malsana. I due protagonisti sono innamorati della stessa donna (pur non mancando un vago sottotesto omoerotico) e la loro grande amicizia non regge la tensione: il rapporto si incrina fino a spezzarsi, mutandosi in un odio che non si affievolisce con il tempo. Amore e morte viaggiano a braccetto tra scene di inquietante onirismo che annunciano la tragedia. Juan Bostillo Oro sceneggia, dirige e monta una pellicola innovativa per il cinema messicano dell’epoca sia per quanto riguarda il genere scelto, diventando un originale apripista per l’horror di matrice anglosassone nel Paese, sia per la narrazione che si biforca e mostra due prospettive distinte dello stesso avvenimento, consegnando allo spettatore una visione contraddittoria e ricca di dubbi. In questo senso, anticipa di ben sedici anni quel RashÅmon che porterà questa struttura al suo apice artistico-teorico, a dimostrazione della fecondità di idee del cinema messicano nel suo periodo d’oro. La bella fotografia è di Agustín Jiménez, futuro collaboratore di Buñuel.