Eisenstein in Messico
Eisenstein in Guanajuato
Durata
105
Formato
Regista
Dopo aver rivoluzionato il cinema sovietico con film come La corazzata Potëmkin (1925) e Ottobre (1928), il regista Sergej MichajloviÄ Ä–jzenÅ¡tejn (Elmer Bäck) si trasferisce in Messico per realizzare un nuovo progetto. Le difficoltà produttive saranno maggiori del previsto, ma i tormenti del cineasta non riguardano soltanto il versante professionale.
Peter Greenaway (Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante del 1989) racconta una piccola parte della vita di uno dei maestri assoluti della settima arte, mantenendosi completamente distante dai canoni dei biopic tradizionali. Ä–jzenÅ¡tejn aveva come obiettivo la realizzazione di Que viva Mexico!, film che rimarrà incompiuto, ma Greenaway è più interessato a raccontare le sue personali idiosincrasie, la relazione omosessuale con la sua “guida locale” e i suoi demoni interiori. È un ritratto indubbiamente buffo, capace di desacralizzare il grande autore sovietico e, allo stesso tempo, di valorizzarne le potenzialità stilistiche. Se, da un lato, Greenaway mette Ä–jzenÅ¡tejn a nudo (in tutti i sensi), dall'altro mette in scena le sue teorie sul montaggio, sul ritmo visivo e sulla ripetizione di uno stesso gesto. L'andamento, però, è altalenante: diversi i guizzi importati (incipit compreso), ma sono altrettante le cadute di stile per un lungometraggio in cui si calca troppo la mano, toccando il cattivo gusto e l'eccesso per scandalizzare a tutti i costi. Fortunatamente non si prende troppo sul serio e l'ironia riesce a stemperare i difetti, che vengono però comunque fuori in una parte centrale ridondante e non sempre efficace. Notevole, in ogni caso, una lunga carrellata con i personaggi che scompaiono e ricompaiono da una stanza all'altra: una sequenza degna del miglior Greenaway, dispersa però in una visione ricca di momenti non necessari e spesso superflui. Buona prova del poco conosciuto Elmer Bäck, capace di dare efficacemente volto a uno degli autori cinematografici più importanti di tutti i tempi.
Peter Greenaway (Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante del 1989) racconta una piccola parte della vita di uno dei maestri assoluti della settima arte, mantenendosi completamente distante dai canoni dei biopic tradizionali. Ä–jzenÅ¡tejn aveva come obiettivo la realizzazione di Que viva Mexico!, film che rimarrà incompiuto, ma Greenaway è più interessato a raccontare le sue personali idiosincrasie, la relazione omosessuale con la sua “guida locale” e i suoi demoni interiori. È un ritratto indubbiamente buffo, capace di desacralizzare il grande autore sovietico e, allo stesso tempo, di valorizzarne le potenzialità stilistiche. Se, da un lato, Greenaway mette Ä–jzenÅ¡tejn a nudo (in tutti i sensi), dall'altro mette in scena le sue teorie sul montaggio, sul ritmo visivo e sulla ripetizione di uno stesso gesto. L'andamento, però, è altalenante: diversi i guizzi importati (incipit compreso), ma sono altrettante le cadute di stile per un lungometraggio in cui si calca troppo la mano, toccando il cattivo gusto e l'eccesso per scandalizzare a tutti i costi. Fortunatamente non si prende troppo sul serio e l'ironia riesce a stemperare i difetti, che vengono però comunque fuori in una parte centrale ridondante e non sempre efficace. Notevole, in ogni caso, una lunga carrellata con i personaggi che scompaiono e ricompaiono da una stanza all'altra: una sequenza degna del miglior Greenaway, dispersa però in una visione ricca di momenti non necessari e spesso superflui. Buona prova del poco conosciuto Elmer Bäck, capace di dare efficacemente volto a uno degli autori cinematografici più importanti di tutti i tempi.