Evasione
Douce
Durata
104
Formato
Regista
Parigi, 1887, la giovane Douce (Odette Joyeux) è la figlia del conte Adalberto di Bonaffé (Jean Debucourt) e ha come istitutrice Irène (Madeleine Robinson). Innamoratasi dell'amministratore della casa, Fabiano (Roger Pigaut), vede la loro differenza di classe come una minaccia per un possibile legame; ma in realtà c'è un altro elemento che rischia di distruggere i sogni romantici della ragazza: Fabiano è già l'amante di Irène. Una volta scoperto il fatto, Douce non si perde d'animo e invita Fabiano a fuggire insieme a lei.
È il primo film importante diretto da Claude Autant-Lara e, in assoluto, uno dei più significativi della sua altalenante carriera. Prendendo spunto da un romanzo di Michel Davet, gli sceneggiatori Jean Aurenche e Pierre Bost danno vita a un melodramma intenso e ricco di colpi di scena inaspettati, capace di tenere alta l'attenzione fino alla fine e dotato di un paio di riflessioni non banali sulla differenza di classe e su cosa si è disposti a fare pur di mettere in pratica i propri desideri. Grande scrittura dei personaggi accompagnata dallo stile puntuale di Autant-Lara, che gioca opportunamente coi generi e i registri, passando dalla commedia leggera al dramma più tragico. L'intenso finale è soltanto una delle tante sequenze da ricordare di un lungometraggio che non ha alcuna battuta di troppo. Se colpisce ancora oggi come allora, il merito va anche all'impressionane fotografia di Philippe Agostini, capace di valorizzare il bianco e nero come pochi altri in quel periodo. Da riscoprire.
È il primo film importante diretto da Claude Autant-Lara e, in assoluto, uno dei più significativi della sua altalenante carriera. Prendendo spunto da un romanzo di Michel Davet, gli sceneggiatori Jean Aurenche e Pierre Bost danno vita a un melodramma intenso e ricco di colpi di scena inaspettati, capace di tenere alta l'attenzione fino alla fine e dotato di un paio di riflessioni non banali sulla differenza di classe e su cosa si è disposti a fare pur di mettere in pratica i propri desideri. Grande scrittura dei personaggi accompagnata dallo stile puntuale di Autant-Lara, che gioca opportunamente coi generi e i registri, passando dalla commedia leggera al dramma più tragico. L'intenso finale è soltanto una delle tante sequenze da ricordare di un lungometraggio che non ha alcuna battuta di troppo. Se colpisce ancora oggi come allora, il merito va anche all'impressionane fotografia di Philippe Agostini, capace di valorizzare il bianco e nero come pochi altri in quel periodo. Da riscoprire.