Orson Welles indaga sulla storia del noto falsario Helmyr de Hory partendo dal libro a lui dedicato da Clifford Irving, giornalista celebre per aver scritto una falsa autobiografia di Howard Hughes. Lo spunto porta Welles a interrogarsi sul cinema e sul senso dell'arte, oltre che a raccontare la storia di Oja Kodar, che sedusse Picasso, e del nonno della splendida ragazza, falsario specializzato nel riprodurre le opere dell'artista spagnolo. Ma chi dice vero? E chi mente sapendo di mentire?
Sfruttando gran parte del materiale girato in precedenza da François Reichenbach, autore di un film-inchiesta dedicato a Elmyr de Hory, Welles dà vita a un progetto decisamente inconsueto, mischiando documentario, fiction e sperimentazioni visive. Emerge così una riflessione sul potere illusionistico del cinema, capace di dar vita a realtà alternative in cui elementi di verità sono trasfigurati dalla forza dell'immaginazione e dall'abilità affabulatrice della menzogna. Esemplari in tal senso l'aneddoto che vede protagonista Picasso o il racconto che Welles fa della sua carriera, iniziata con una della più grandi beffe della storia, ovvero lo spettacolo radiofonico ispirato a La guerra dei mondi che ha gettato nel panico gli americani. In questo modo il regista mette in scena la sua idea di cinema come inganno e falsità, partendo da una dimensione di realtà e mantenendo un alone di magia (non a caso Welles a inizio film si diletta con numeri da illusionista) e mistero. Ed è attraverso il montaggio e il suo uso creativo (che unisce filmati di repertorio, fotografie, dipinti veri o falsi e immagini girate ad hoc) che il cineasta esplora le ambiguità della rappresentazione e l'impossibilità di distinguere in maniera netta il vero dal falso, giocando (con evidente autocompiacimento) con le certezze e le attese degli spettatori. La vicenda di Clifford Irving ha inspirato anche il soggetto de L'imbroglio – The Hoax (2006) di Lasse Hallström.
Sfruttando gran parte del materiale girato in precedenza da François Reichenbach, autore di un film-inchiesta dedicato a Elmyr de Hory, Welles dà vita a un progetto decisamente inconsueto, mischiando documentario, fiction e sperimentazioni visive. Emerge così una riflessione sul potere illusionistico del cinema, capace di dar vita a realtà alternative in cui elementi di verità sono trasfigurati dalla forza dell'immaginazione e dall'abilità affabulatrice della menzogna. Esemplari in tal senso l'aneddoto che vede protagonista Picasso o il racconto che Welles fa della sua carriera, iniziata con una della più grandi beffe della storia, ovvero lo spettacolo radiofonico ispirato a La guerra dei mondi che ha gettato nel panico gli americani. In questo modo il regista mette in scena la sua idea di cinema come inganno e falsità, partendo da una dimensione di realtà e mantenendo un alone di magia (non a caso Welles a inizio film si diletta con numeri da illusionista) e mistero. Ed è attraverso il montaggio e il suo uso creativo (che unisce filmati di repertorio, fotografie, dipinti veri o falsi e immagini girate ad hoc) che il cineasta esplora le ambiguità della rappresentazione e l'impossibilità di distinguere in maniera netta il vero dal falso, giocando (con evidente autocompiacimento) con le certezze e le attese degli spettatori. La vicenda di Clifford Irving ha inspirato anche il soggetto de L'imbroglio – The Hoax (2006) di Lasse Hallström.