The Other Side of the Wind

The Other Side of the Wind

Anno

Paese

Usa

Generi

Durata

122

Regista

J.J. “Jake” Hannaford (John Huston) è un regista eccentrico e scontroso che ritorna a Hollywood, dopo anni di esilio volontario in Europa, con l’idea di portare a termine un film rimasto incompiuto. È circondato da amici, produttori, studenti e colleghi, ma la realizzazione del lavoro presenterà più di qualche ostacolo.

La gestazione di The Other Side of the Wind risale al 1970, quando Orson Welles cominciò a girare quella che sarebbe stata la sua ultima opera cinematografica. Come quasi sempre nella carriera dell'autore, i problemi finanziari non tardarono a palesarsi e il progetto si prolungò lungo gli anni per poi essere abbandonato del tutto (dato anche il decesso di Welles). Oggi il film prende forma grazie al lavoro di alcuni produttori che hanno deciso di dare luce al materiale rimasto in attesa di una conclusione. Sembra quasi una profezia quindi, dato che il film racconta una storia molto simile al travaglio della pellicola, ma effettivamente The Other Side of the Wind è un progetto altamente metacinematografico capace di intrecciare con tatto e sapienza la realtà con la finzione, il cinema con la vita, i personaggi con il narratore. Difficile dire quanto Welles abbia effettivamente voluto una versione simile a quella giunta ai nostri occhi, ma il cuore pulsante dell'operazione rimane un grande, genuino e generoso amore nei confronti della settima arte e dell'industria che l'alimenta. In una fluviale odissea nei meandri di Hollywood, dalla superficie frastagliata e magnetica, Welles mette in scena un carosello di volti e personaggi per restituire la complessità magmatica dell'esistenza prima ancora che di un mondo tanto affascinante quanto poco raccomandabile, in maniera rapsodica e ipercinetica. Sono molteplici gli spunti tematici accennati e sui quali il film sembra sorvolare solo per privilegiare ulteriormente l'idea di concentrarsi sul collettivo anziché sul singolo, e anche se non sempre il discorso risulta limpido e lineare, non si può che rimanere stupefatti dal fluire cinematografico di un oggetto estremamente complesso e a tratti ostile ma in grado di travolgere con passione e gusto. Fenomenali anche i salti interni di montaggio tra il bianco e nero e il colore: il montaggio, in generale, si spinge alle soglie del cubismo più oltranzista per andare a comporre un oggetto irripetibile, dal grande spessore teorico e perfino filologico, trattandosi anche del film testamentario e postumo di un regista abituato a giganteggiare e convivere coi propri eccessi famelici. Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2018.
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