Rapporto Confidenziale
Mr. Arkadin
Durata
93
Formato
Regista
L'avventuriero Van Stratten (Robert Arden) viene ingaggiato dal ricchissimo e misterioso Arkadin (Orson Welles) per indagare sul proprio passato, in quanto dice di essere affetto da amnesia. Ma Arkadin bluffa e usa Van Stratten per ritrovare e eliminare tutti i suoi nemici e i testimoni dei propri loschi affari. Nel frattempo, lo stesso Van Stratten si innamora di Raina (Paola Mori), figlia di Arkadin, di cui il mefistofelico miliardario è morbosamente geloso.
Il film inizia dalla fine, esattamente come Quarto potere (1941) di cui rappresenta un ideale seguito, divertito e un pizzico manierista. Anche in questo caso, infatti, Welles riflette sull'ubiquità del potere (Arkadin, di fatto, è ovunque Van Stratten si sposti e al contempo spesso e volentieri è assente dalla scena), entità sempre percepibile ma raramente visibile, capace di plasmare e condizionare la volontà e le azioni altrui. Un grande gioco metatestuale, quindi, in cui l'ambiguo e oscuro Arkadin altro non è che un alter ego del regista, ovvero di un soggetto che manipola a proprio piacimento la realtà mentre esplora, sardonico e malizioso, le conseguenze di una mistificazione consapevole, muovendosi nell'ombra. Welles è inoltre assai abile nel rappresentare quel caos che contraddistingue un'epoca storica, segnata dai postumi del secondo conflitto mondiale e dalle tensioni della Guerra fredda. Uno spaesamento collettivo che trova adeguata forma narrativa e visiva grazie a una trama intricatissima, a uno stile radicalmente barocco (particolarmente insistente nell'uso di obiettivi deformanti, primi e primissimi piani, inquadrature pregne di stimoli visivi e sensoriali), a un miscuglio di varia umanità con personaggi secondari che si alternano in scena e compensano la sostanziale assenza del fantasmatico protagonista. Girato con mezzi di fortuna per mezza Europa, sospeso e ripreso più volte, uno dei film più anarchici e ammalianti di Welles. Al termine delle riprese, il regista sposò Paola Mori, sua terza e ultima moglie.
Il film inizia dalla fine, esattamente come Quarto potere (1941) di cui rappresenta un ideale seguito, divertito e un pizzico manierista. Anche in questo caso, infatti, Welles riflette sull'ubiquità del potere (Arkadin, di fatto, è ovunque Van Stratten si sposti e al contempo spesso e volentieri è assente dalla scena), entità sempre percepibile ma raramente visibile, capace di plasmare e condizionare la volontà e le azioni altrui. Un grande gioco metatestuale, quindi, in cui l'ambiguo e oscuro Arkadin altro non è che un alter ego del regista, ovvero di un soggetto che manipola a proprio piacimento la realtà mentre esplora, sardonico e malizioso, le conseguenze di una mistificazione consapevole, muovendosi nell'ombra. Welles è inoltre assai abile nel rappresentare quel caos che contraddistingue un'epoca storica, segnata dai postumi del secondo conflitto mondiale e dalle tensioni della Guerra fredda. Uno spaesamento collettivo che trova adeguata forma narrativa e visiva grazie a una trama intricatissima, a uno stile radicalmente barocco (particolarmente insistente nell'uso di obiettivi deformanti, primi e primissimi piani, inquadrature pregne di stimoli visivi e sensoriali), a un miscuglio di varia umanità con personaggi secondari che si alternano in scena e compensano la sostanziale assenza del fantasmatico protagonista. Girato con mezzi di fortuna per mezza Europa, sospeso e ripreso più volte, uno dei film più anarchici e ammalianti di Welles. Al termine delle riprese, il regista sposò Paola Mori, sua terza e ultima moglie.