Il diciottenne israeliano Joseph (Jules Sitruk) scopre alla visita militare di non avere lo stesso gruppo sanguigno dei genitori: è stato scambiato in fasce con quello di un’altra coppia. Conosce così Yacine (Mehdi Dehbi) e la sua famiglia, arabi della Cisgiordania, iniziando un difficile processo di conoscenza e integrazione.

Il motivo del figlio scambiato è un classico topos narrativo, antico almeno quanto la commedia greca. La sceneggiatura di Lorraine Lévy (scritta con Nathalie Saugeon) inserisce il dispositivo narrativo – con tutte le sue implicazioni in termini di identità del soggetto, nonché dialettiche tra predestinazione naturale e influenza dell’ambiente – nel contesto drammaticamente lacerato della Palestina contemporanea. Alla regista francese interessa l’umanità dei personaggi, più che la politica o la sociologia, e il film diventa il racconto, inappuntabilmente strutturato, di un incontro difficile ma produttivo, capace di generare comprensione e speranza. Sono la vitalità e l'apertura mentale dei giovani e l’amore delle madri a essere depositari di una solidarietà che scavalca i muri fisici e simbolici. Muri ben presenti ma che, pur non venendo lasciati nel fuoricampo dalla narrazione, perdono un po’ della tragica drammaticità della realtà. Se un appunto si può fare a un film onesto e umanista come questo, è quello di sfumare forse troppo le contrapposizioni, e gli odi, che insanguinano quella terra. In ogni caso, da vedere.
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