Un ragazzo (Melvil Poupaud), strenuo difensore del pensiero libero, si ritrova in un clima a lui avverso dove conta solo accaparrarsi più denaro possibile. Dei bambini tentano di convertire chi non professa la fede cristiana, e un bordello di ex suore viene sollevato dalla pendenza di un affitto da pagare per l’occupazione del convento.



Il regista cileno Raoul Ruiz affronta un racconto fiabesco con la consueta originalità e un’irrinunciabile vocazione filosofica. La carne al fuoco, le suggestioni e le infinite divagazioni di una narrazione volutamente senza baricentro affossano però un’operazione caotica e indecifrabile, colma di stranezze, aporie, città invisibili, digressioni filosofiche non sempre legittimate a livello formale né tantomeno strutturate o sviluppate a dovere. Qualche lieve accenno di tensione e di mistero colpisce nel segno, ma ad inabissare l’operazione è soprattutto un senso dilagante di vacuità e delle inutili, compiaciute contorsioni labirintiche. Un rompicapo che si guarda continuamente allo specchio, senza scorgere nulla di ulteriore rispetto alla sua immagine riflessa, sguazzando nella più completa sterilità.
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