Frankenstein

Uno scienziato (Oscar Isaac), brillante ma egocentrico, dà vita a una creatura utilizzando parti di cadaveri di soldati morti sul campo di battaglia. Il mostruoso esperimento porterà alla rovina sia il creatore, sia la sua tragica creazione.

Dopo l’animazione stop-motion di Pinocchio (2022), Guillermo del Toro adatta un altro classico della letteratura: Frankenstein di Mary Shelley, romanzo che è stato portato sul grande schermo fin dagli anni Dieci del ventesimo secolo, raggiungendo la fama cinematografica con il memorabile lungometraggio di James Whale del 1931. Del Toro, che inseguiva questo progetto da tanto tempo e che è riuscito a realizzarlo grazie al sostegno di Netflix, rimane ampiamente fedele allo spirito del testo di partenza, ma anche al suo stile e alla sua poetica. Aperto da un prologo, il film è diviso poi in due macro-capitoli: il racconto dal punto di vista di Victor Frankenstein, il creatore, e poi attraverso gli occhi della Creatura. È chiaro che a del Toro interessi soprattutto il secondo, seppur i due personaggi principali – specchio di un’unica medaglia – siano trattati con totale equilibrio. Riprendendo stimoli che hanno attraversato tutta la sua filmografia (compreso La forma dell’acqua, Leone d’oro a Venezia nel 2017), del Toro parla del rapporto di amore tra esseri considerati mostruosi e umani in grado di coglierne la purezza. La sensibilità e i momenti commoventi con cui viene tratteggiata la Creatura non sono certo una novità, ma il regista messicano spinge fortissimo su questo pedale dando vita a un prodotto dolce e fortemente romantico. L’ingente sforzo produttivo non è sempre ripagato artisticamente a causa di alcune sequenze troppo costruite e troppo pompose, ma la visione regala più pregi che difetti e le emozioni non mancano. Qualche passaggio è comunque molto retorico, seppur si senta la sincerità e la passione con cui l’autore messicano ha realizzato quest’opera. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025.