Il favorito della grande regina
The Virgin Queen
Durata
92
Formato
Regista
Il giovane navigatore Walter Raleigh (Richard Todd) chiede alla regina Elisabetta I (Bette Davis) di concedergli tre vascelli per salpare in cerca di nuove terre da esplorare. La regina s'invaghisce del giovane, cosa che gli provoca un repentino avanzamento nella carriera, ma alla vigilia della partenza, Raleigh viene imprigionato e condannato a morte proprio dalla sovrana, venuta nel frattempo a conoscenza del suo matrimonio con Lady Beth Throgmorton (Joan Collins).
Bette Davis torna a interpretare la regina Elisabetta I a sedici anni di distanza da Il conte di Essex (Michael Curtiz, 1939) in questo film storico diretto da Henry Koster (La tunica, 1953). Non è certamente per l'accuratezza dei dettagli (totalmente lacunosa) che quest'opera viene ricordata, bensì per le notevoli doti attoriali di un cast ben assortito e capitanato dalla monumentale performance della Davis, capace di irretire e ammaliare con un solo fugace sguardo. Koster, dal canto suo, appare svogliato e non in ottima forma, limitandosi a gestire un campionario di buoni attori e a regalare a ognuno il suo momento senza interferire, ma senza nemmeno donare quella grazia che pellicole di questo genere richiederebbero; il tutto si traduce in una perenne sensazione di già visto e le stesse soluzioni narrative piombano addosso allo spettatore quasi come una sentenza incontrovertibile.
Bette Davis torna a interpretare la regina Elisabetta I a sedici anni di distanza da Il conte di Essex (Michael Curtiz, 1939) in questo film storico diretto da Henry Koster (La tunica, 1953). Non è certamente per l'accuratezza dei dettagli (totalmente lacunosa) che quest'opera viene ricordata, bensì per le notevoli doti attoriali di un cast ben assortito e capitanato dalla monumentale performance della Davis, capace di irretire e ammaliare con un solo fugace sguardo. Koster, dal canto suo, appare svogliato e non in ottima forma, limitandosi a gestire un campionario di buoni attori e a regalare a ognuno il suo momento senza interferire, ma senza nemmeno donare quella grazia che pellicole di questo genere richiederebbero; il tutto si traduce in una perenne sensazione di già visto e le stesse soluzioni narrative piombano addosso allo spettatore quasi come una sentenza incontrovertibile.