Il giardino di cemento
The Cement Garden
Durata
105
Formato
Regista
Rimasti orfani del padre – colto da un infarto mentre cementava il giardino – Jack (Andrew N. Robertson), Julie (Charlotte Gainsbourg) e altri due fratelli accudiscono la madre gravemente malata in casa. Quando anche lei muore i ragazzi decidono di non farlo sapere e, dopo aver trasportato il cadavere in cantina, lo immergono in un baule pieno di cemento. Cosa accadrà ora che sono soli a gestire la casa e ad affrontare le difficoltà dell’adolescenza?
Tratto dall’omonimo romanzo di Ian McEwan, l’adattamento di Andrew Birkin ripercorre fedelmente la trama dell’opera originale riuscendo a restituirne l’atmosfera claustrofobica e allo stesso tempo dispersiva nell’alternanza tra soffocanti e polverosi spazi chiusi e location industriali all’aperto di difficile contestualizzazione. Del perturbante microcosmo creato da McEwan vengono riproposti i personaggi problematici e le dinamiche familiari distruttive in maniera sottile e puntuale: sguardi eloquenti, parole non dette e effetti chiaroscurali, evocativi di una realtà opaca e squallida, fanno affiorare l’interiorità tormentata dei giovani protagonisti che la pagina scritta restituisce con minuziosa attenzione. D’altra parte la pellicola procede in maniera (forse troppo) lineare e alcune scelte estetiche posso risultare eccessivamente espressionistiche, eppure, l’azzeccata scelta degli attori, la regia discreta e intelligente e l’inquietante procedere narrativo lo rendono un prodotto a suo modo coraggioso. La rappresentazione tagliente di una famiglia distrutta dove i figli pagano il prezzo dell’assenza dei genitori con la loro infanzia potrebbe sembrare scontato, ma l’esito tragico descritto nell’archetipo letterario viene mostrato senza alcuna edulcorazione: i bambini perdono l’innocenza divenendo esseri depravati e incestuosi, in balia dei loro istinti più bassi e, accogliendo le perversione di un’età adulta violenta che non concede lieto fine o consolazioni, rivelano la radice corrotta dal quale nasce ogni essere umano
Tratto dall’omonimo romanzo di Ian McEwan, l’adattamento di Andrew Birkin ripercorre fedelmente la trama dell’opera originale riuscendo a restituirne l’atmosfera claustrofobica e allo stesso tempo dispersiva nell’alternanza tra soffocanti e polverosi spazi chiusi e location industriali all’aperto di difficile contestualizzazione. Del perturbante microcosmo creato da McEwan vengono riproposti i personaggi problematici e le dinamiche familiari distruttive in maniera sottile e puntuale: sguardi eloquenti, parole non dette e effetti chiaroscurali, evocativi di una realtà opaca e squallida, fanno affiorare l’interiorità tormentata dei giovani protagonisti che la pagina scritta restituisce con minuziosa attenzione. D’altra parte la pellicola procede in maniera (forse troppo) lineare e alcune scelte estetiche posso risultare eccessivamente espressionistiche, eppure, l’azzeccata scelta degli attori, la regia discreta e intelligente e l’inquietante procedere narrativo lo rendono un prodotto a suo modo coraggioso. La rappresentazione tagliente di una famiglia distrutta dove i figli pagano il prezzo dell’assenza dei genitori con la loro infanzia potrebbe sembrare scontato, ma l’esito tragico descritto nell’archetipo letterario viene mostrato senza alcuna edulcorazione: i bambini perdono l’innocenza divenendo esseri depravati e incestuosi, in balia dei loro istinti più bassi e, accogliendo le perversione di un’età adulta violenta che non concede lieto fine o consolazioni, rivelano la radice corrotta dal quale nasce ogni essere umano