Dio è donna e si chiama Petrunya
Gospod postoi, imeto i' e Petrunija
Durata
100
Formato
Regista
Petrunija (Zorica Nusheva) ha 32 anni, non ha lavoro e vive ancora in casa con i suoi genitori. Un giorno, tornando da un colloquio non andato a buon fine, si ferma ad osservare una particolare cerimonia religiosa, che si conclude con il lancio in acqua di una croce che i ragazzi dovranno recuperare. Solo i maschi possono partecipare, ma Petrunija si getta nel fiume e la recupera per prima, dando vita a un vero e proprio scandalo mediatico…
È un film senza peli sulla lingua, incisivo e fortemente militante quello firmato dalla regista macedone Teona Strugar Mitevska. Una pellicola che è un viaggio in un paese dove la discriminazione nei confronti delle donne è all’ordine del giorno, ed è proprio questo il tema principale di cui si parla: la cerimonia religiosa è infatti un pretesto per descrivere l’arretratezza di tradizioni immutabili, che non stanno al passo coi tempi e finiscono soltanto per avere un atteggiamento di chiusura verso una possibile novità. La regista e sceneggiatrice, però, si concentra anche sul mostrare come una ragazza laureata e colta, ma senza esperienze pratiche alle spalle, non venga di fatto considerata in alcun modo dal mondo del lavoro. Non ci sono particolari guizzi o spunti da mandare a memoria, ma Dio è donna e si chiama Petrunya è comunque un’operazione riuscita, essenziale nella forma e molto esplicita nei contenuti. Senza furberie stilistiche o retorica di alcun tipo, il film propone inoltre una discreta satira del mondo dei media e ha dalla sua anche un cast credibile, con una protagonista intensa al punto giusto. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2019.
È un film senza peli sulla lingua, incisivo e fortemente militante quello firmato dalla regista macedone Teona Strugar Mitevska. Una pellicola che è un viaggio in un paese dove la discriminazione nei confronti delle donne è all’ordine del giorno, ed è proprio questo il tema principale di cui si parla: la cerimonia religiosa è infatti un pretesto per descrivere l’arretratezza di tradizioni immutabili, che non stanno al passo coi tempi e finiscono soltanto per avere un atteggiamento di chiusura verso una possibile novità. La regista e sceneggiatrice, però, si concentra anche sul mostrare come una ragazza laureata e colta, ma senza esperienze pratiche alle spalle, non venga di fatto considerata in alcun modo dal mondo del lavoro. Non ci sono particolari guizzi o spunti da mandare a memoria, ma Dio è donna e si chiama Petrunya è comunque un’operazione riuscita, essenziale nella forma e molto esplicita nei contenuti. Senza furberie stilistiche o retorica di alcun tipo, il film propone inoltre una discreta satira del mondo dei media e ha dalla sua anche un cast credibile, con una protagonista intensa al punto giusto. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2019.