Il gregge
Sürü
Durata
129
Formato
Regista
Şivan (Tarik Akan) è sposato con Berivan (Melike Demirag), la quale ha smesso di parlare dopo la morte prematura di tre figli. In occasione di un trasporto di pecore verso la capitale, il marito decide di portarla con sé ad Ankara per farla curare, nonostante la crescente tensione con gli altri membri della famiglia che trattano la donna da iettatrice.
Zeki Ökten dirige su sceneggiatura di Yılmaz Güney, che per tutta la lavorazione del film si trova incarcerato per inimicizia verso il regime. La Turchia che viene proposta è fratricida e corrotta, costantemente ferita da lotte interne tra clan vicini o tra membri di una stessa famiglia. Incapace di una convivenza pacifica, il climax di tensione è sempre in crescendo e Şivan inizia a proteggere la moglie anche a costo di separarsi definitivamente dal padre padrone. La prima parte della pellicola mostra la vita rurale con realismo, mentre la seconda parte è un viaggio in treno i cui incontri si fanno allegoria di certa società turca: ufficiali corrotti, ladri senza scrupoli, musicisti rivoluzionari, pastori che ripongono le loro ultime speranza nella vita di città. L’epilogo ad Ankara fa sprofondare i protagonisti in un ambiente spaesante grazie anche al montaggio dal ritmo sincopato che, tra vetrine abbaglianti e vestiti alla moda, disvela la loro inevitabile identità di pesci fuor d’acqua. Violento ma mai gratuito; duro, ma senza giudicare i suoi personaggi con manicheismo e raccontandoli anzi nella loro complessità, tra efferatezze e sentimentalismi, tra superstizione e senso del dovere. Quelli che parrebbero eccessi nella recitazione del cast maschile, sono in fin dei conti funzionali contraltari alla dolente e sommessa interpretazione di Demirag, che regala la prova migliore del film senza pronunciare nemmeno una parola. Vincitore del Pardo d’oro.
Zeki Ökten dirige su sceneggiatura di Yılmaz Güney, che per tutta la lavorazione del film si trova incarcerato per inimicizia verso il regime. La Turchia che viene proposta è fratricida e corrotta, costantemente ferita da lotte interne tra clan vicini o tra membri di una stessa famiglia. Incapace di una convivenza pacifica, il climax di tensione è sempre in crescendo e Şivan inizia a proteggere la moglie anche a costo di separarsi definitivamente dal padre padrone. La prima parte della pellicola mostra la vita rurale con realismo, mentre la seconda parte è un viaggio in treno i cui incontri si fanno allegoria di certa società turca: ufficiali corrotti, ladri senza scrupoli, musicisti rivoluzionari, pastori che ripongono le loro ultime speranza nella vita di città. L’epilogo ad Ankara fa sprofondare i protagonisti in un ambiente spaesante grazie anche al montaggio dal ritmo sincopato che, tra vetrine abbaglianti e vestiti alla moda, disvela la loro inevitabile identità di pesci fuor d’acqua. Violento ma mai gratuito; duro, ma senza giudicare i suoi personaggi con manicheismo e raccontandoli anzi nella loro complessità, tra efferatezze e sentimentalismi, tra superstizione e senso del dovere. Quelli che parrebbero eccessi nella recitazione del cast maschile, sono in fin dei conti funzionali contraltari alla dolente e sommessa interpretazione di Demirag, che regala la prova migliore del film senza pronunciare nemmeno una parola. Vincitore del Pardo d’oro.