Ham on Rye

Ham on Rye

Anno

Paese

Usa

Durata

85

Formato

Regista

Per un gruppo di teenager di una cittadina della California è il giorno del ballo di fine liceo, quello che simboleggia l'ingresso nell'età adulta. Tra tensioni e ansie, talvolta incontrollabili, si avvicina il grande momento.

Esordio alla regia del giovane regista americano Tyler Taormina, Ham on Rye è un prodotto singolare e inusuale, che si muove nel solco di tanto cinema statunitense rileggendolo e sovvertendolo con spirito punk sommesso, mai strillato e soprattutto non banale. Il film si propone in prima battuta come il classico coming of age a stelle e strisce, con uno sguardo su adolescenti privi di bussola già affrontati da un ampio arco di registi, in primis Richard Linklater e John Hughes. Rispetto a tanti prodotti derivativi e paludati, quest’opera prima scritta da Taormina con Eric Berger non è però meramente citazionistica e si configura fin da subito come qualcosa di più: un vero e proprio detour malsano e innovativo nell’immaginario della provincia americana, sorprendentemente fresco, originale e propulsivo anche se alle prese con un soggetto e un’ambientazione decisamente abusati. Ham on Rye prende le mosse da una vaga premessa modello Il giardino delle vergini suicide (1999) di Sofia Coppola, sfiora maliziosamente i cliché più torbidi dei ragazzi dei film di Larry Clark e Harmony Korine, per poi partire per una tangente evidentemente surreale, nella quale anche le dissolvenze incrociate, giocose e pastello, delineano un paesaggio tutto mentale dominato dal non detto, dall’afasia e da una disperazione catatonica e senza nome, specie nel rapporto con gli adulti, con inevitabili richiami al cinema di Todd Solondz e qualche lampo metafisico alla Picnic ad Hanging Rock (1975). Tutte cose che però Ham on Rye non fa pesare, anzi: piuttosto che insistere su toni gravosi, lascia che siano squinternate sequenze di ballo con dettagli su pollici verso e mirror ball dalla luce accecante a traghettare il teen movie di fondo verso una zona franca nella quale si gioca a instillare il germe dell’alienazione dentro i luoghi e i suoni dell’America di diversi decenni, premendo il pedale sulla parodia del teen drama adolescenziale (come in una sorta di John Waters postumo privato della componente dichiaratamente trash o un ritrovato Richard Kelly dei tempi d’oro di Donnie Darko). La carne al fuoco, come si può intuire, a tratti è decisamente troppa e il rischio del pastiche troppo survoltato è sempre dietro l’angolo, ma il sigillo vintage della splendida fotografia di Carson Lund garantisce all’insieme una compattezza rara per esperimenti giovanili così irrequieti e perturbanti. Particolarmente riuscita anche l’ulteriore virata di tono del finale, che spinge sul tratteggio della malinconia en plein air a riprova di uno sguardo tutt’altro che cupo a tutti i costi. Presentato a Locarno 2019 nella sezione Cineasti del presente e distribuito in seguito su MUBI. 
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