Nell'arco di ventiquattro ore, la moglie di un consigliere del presidente Roosevelt (Miranda Richardson) viene rapita da una donna (Jennifer Jason Leigh) che pretende che il consorte di lei intervenga per scongiurare la possibile ritorsione contro il marito da parte degli scagnozzi di un gangster di colore (Harry Belafonte).

Robert Altman fa i conti con la sua città d'origine, immergendola in un'atmosfera che avrebbe dovuto essere sulla carta fumosa e fascinosa, trainata dai contrassegni del noir e dalla solita, sconfinata, libertà del regista nel tessere insieme i suoi film come jam session. A conti fatti si tratta invece dei uno dei suoi lavori più dimenticabili, specie se rapporto alle ambizioni che ha alle spalle: un'operetta debole e manichea nella contrapposizione strumentale di bianchi e neri in cui si salvano giusto qualche atmosfera dell'Hey Hey Club, locale fulcro delle vicende, e un paio di siparietti tra Miranda Richardson e Jennifer Jason Leigh. Altman è forse il più grande regista jazz americano, ma in questo caso incentra un intero film sulla musica che meglio lo rappresenta stilisticamente dimenticando di restituirne il flusso oscillante e travolgente, tra avvallamenti e impennate: il suo, in definitiva, è solo un film fiacco e piatto dall'inizio alla fine, che non trae dalla dimensione musicale l'autonomia dovuta. Altman ebbe problemi salute durante le riprese e fu sottoposto a un trapianto.
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