Inshallah a Boy
Inshallah walad
Durata
113
Formato
Regista
Nawal (Mouna Hawa), giovane sposa e madre rimasta improvvisamente vedova, si ritrova a combattere con la famiglia del defunto marito per l'eredità che le spetta e per proteggere la propria casa e il destino della sua bambina.
Sorprendente lungometraggio del regista giordano Amjad Al Rasheed, Inshallah a Boy è un film intenso e incalzante, in cui vediamo due realtà apparentemente molto diverse a confronto, entrambe figlie di una società in cui l’oppressione delle donne è il principale comun denominatore. Da un lato Nawal, schiacciata dal lutto della perdita e dal dispiacere per i segreti che il marito le ha tenuti nascosti, dall’altro Lauren (Yumna Marwan), figlia della famiglia abbiente per cui Nawal lavora, cristiana maronita eppure anche lei soggiogata dalle logiche del potere maschile e del patriarcato che la vogliono sottomessa, casta, inibita e che non fanno distinzione fra cristianesimo e islam. Lauren non indossa l’hijab, è libera di vestire in maniera mondana, può scaricare le app di dating ed esercitare un’apparente libertà di pensiero e di movimento, ma è anche lei frutto della peggiore reificazione che si possa immaginare, strumento di potere nelle mani di un marito fedifrago e, al solito, violento. Se Lauren è socialmente e intellettualmente più emancipata di Nawal, avendo ben chiari limiti e sofferenze della condizione femminile nel mondo arabo, anche lei tuttavia non può sottrarsi alla spirale di sopraffazione che si incontra quando si cerca ingenuamente di ribellarsi. E d'altronde la legge, forgiata dagli uomini in nome del Corano, è chiara, e le pretese esercitate in osservanza del diritto non lasciano scampo. Il cambiamento e il processo di liberazione femminile devono necessariamente passare attraverso l’educazione delle nuove generazioni di donne e di uomini. La stessa – vera o simulata – gravidanza di Nawal le permette per un attimo di divincolarsi dal controllo della famiglia, sua e del marito, ma la relega pur sempre ad un ruolo di dipendenza. Ogni sequenza di questo film è in grado di esprimere il senso di oppressione e intrappolamento di questa donna e l’affanno che prova nel tentativo di respirare un po’ di libertà, nonostante ci sia qualche passaggio troppo didascalico che va lievemente a minare il buon risultato complessivo. Mouna Rawa, interprete di rara bellezza, si prende tutta la scena con grazia e prepotenza.
Sorprendente lungometraggio del regista giordano Amjad Al Rasheed, Inshallah a Boy è un film intenso e incalzante, in cui vediamo due realtà apparentemente molto diverse a confronto, entrambe figlie di una società in cui l’oppressione delle donne è il principale comun denominatore. Da un lato Nawal, schiacciata dal lutto della perdita e dal dispiacere per i segreti che il marito le ha tenuti nascosti, dall’altro Lauren (Yumna Marwan), figlia della famiglia abbiente per cui Nawal lavora, cristiana maronita eppure anche lei soggiogata dalle logiche del potere maschile e del patriarcato che la vogliono sottomessa, casta, inibita e che non fanno distinzione fra cristianesimo e islam. Lauren non indossa l’hijab, è libera di vestire in maniera mondana, può scaricare le app di dating ed esercitare un’apparente libertà di pensiero e di movimento, ma è anche lei frutto della peggiore reificazione che si possa immaginare, strumento di potere nelle mani di un marito fedifrago e, al solito, violento. Se Lauren è socialmente e intellettualmente più emancipata di Nawal, avendo ben chiari limiti e sofferenze della condizione femminile nel mondo arabo, anche lei tuttavia non può sottrarsi alla spirale di sopraffazione che si incontra quando si cerca ingenuamente di ribellarsi. E d'altronde la legge, forgiata dagli uomini in nome del Corano, è chiara, e le pretese esercitate in osservanza del diritto non lasciano scampo. Il cambiamento e il processo di liberazione femminile devono necessariamente passare attraverso l’educazione delle nuove generazioni di donne e di uomini. La stessa – vera o simulata – gravidanza di Nawal le permette per un attimo di divincolarsi dal controllo della famiglia, sua e del marito, ma la relega pur sempre ad un ruolo di dipendenza. Ogni sequenza di questo film è in grado di esprimere il senso di oppressione e intrappolamento di questa donna e l’affanno che prova nel tentativo di respirare un po’ di libertà, nonostante ci sia qualche passaggio troppo didascalico che va lievemente a minare il buon risultato complessivo. Mouna Rawa, interprete di rara bellezza, si prende tutta la scena con grazia e prepotenza.