Vedova benestante e madre irreprensibile, la morigerata Cary (Jane Wyman) si innamora del bel giardiniere Ron (Rock Hudson) di dieci anni più giovane di lei, assunto dal marito della donna quando ancora era in vita. Non sarà facile per Cary superare le vili e spregevoli civetterie del vicinato e l'ottusa opposizione dei figli Kay (Gloria Talbott) e Ted (William Reynolds) alla passionale relazione.

Esemplare quadro delle pulsioni represse e della radicata ipocrisia che si cela dietro al perbenismo di facciata della upper-class americana, vittima di pregiudizi e retaggi culturali antiquati, tenuti in vita al solo scopo di conservare uno status di (presunta) rispettabilità all'insegna di una effimera omologazione. Una società chiusa nella propria torre d'avorio squarciata da una delle storie d'amore più iconiche di sempre, cuore pulsante di un melodramma stratificato e ricco di preziose sfaccettature, messo in scena da Sirk con un raffinato distacco che esclude ogni eccesso di gratuito sentimentalismo. La scrittura lineare sottende una profonda valenza metaforica e ogni personaggio incarna uno specifico aspetto che impreziosisce la narrazione (l'inamidato corteggiatore interpretato da Conrad Nagel, la pettegola Sara a cui presta il volto Agnes Moorehead). Gli interni impeccabilmente arredati, simbolo di rigide consuetudini, e i salotti borghesi simili a ostili prigioni del sentimento si contrappongono alla bellezza incontaminata della natura (gli alberi, gli animali) e al senso di protezione suggerito dal vecchio mulino pronto a diventare primigenia alcova d'amore. La paura diventa speranza di un avvenire felice in un finale conciliatorio che sfiora la poesia. Magnifica Jane Wyman, pudica e malinconica, che dà vita a uno dei più bei ritratti femminili di tutto il cinema classico delle major hollywoodiane, ma non è da sottovalutare nemmeno Rock Hudson, perfetto come romantico spirito libero al di sopra delle convenzioni. Straordinario il pastoso Technicolor di Russell Metty, che rappresenta una vetta nell'uso espressivo del colore al cinema. Preso a modello da Todd Haynes per Lontano dal paradiso (2002) e rifatto da Fassbinder, grande ammiratore di Sirk, con La paura mangia l'anima (1974).
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