Lady Macbeth
Lady Macbeth
Durata
89
Formato
Regista
Nella campagna inglese di metà Ottocento la giovane Katherine (Florence Pugh) è soffocata da un matrimonio di puro interesse e dalle convenzioni del tempo. La sua misera esistenza trova uno stimolo nella relazione con uno stalliere (Paul Hilton), che ridà alla giovane vigore e vitalità, fino alle estreme conseguenze.
L'esordio di William Oldroyd (proveniente dal mondo del teatro) nel lungometraggio, pur non nascondendo la sua derivazione letteraria e ottocentesca (è tratto dal racconto Lady Macbeth del distretto di Mensk di Nikolaj Leskov, pubblicato nel 1856), non cade mai nelle trappole del calligrafismo e della raffinatezza pomposa e fine a se stessa. È un'opera sì elegante, ma anche soprattutto lucida e fredda, al limite del cinismo; è la storia di una vittima dei tempi e del contesto che trova come unica soluzione per ribellarsi e liberarsi quella di diventare carnefice, cadendo in una spirale di onnipotenza e violenza altrettanto disperata. Il volto della protagonista (un'intensa, asciutta e quasi ipnotica Florence Pugh) è quasi continuamente al centro dell'inquadratura, scelta stilistica che esalta il senso di prigionia nella prima parte e quello di onnipotenza nella seconda, permettendo così allo spettatore di comprendere il percorso interiore e il tracollo emotivo della tragica eroina. La metafora politica sulla condizione odierna della donna è evidente, per quanto non manchino da questo punto di vista ambiguità e lacune. Lampanti i riferimenti alla pittura del XIX secolo (Preraffaeliti e Courbet). Presentato in concorso al 34° Torino Film Festival.
L'esordio di William Oldroyd (proveniente dal mondo del teatro) nel lungometraggio, pur non nascondendo la sua derivazione letteraria e ottocentesca (è tratto dal racconto Lady Macbeth del distretto di Mensk di Nikolaj Leskov, pubblicato nel 1856), non cade mai nelle trappole del calligrafismo e della raffinatezza pomposa e fine a se stessa. È un'opera sì elegante, ma anche soprattutto lucida e fredda, al limite del cinismo; è la storia di una vittima dei tempi e del contesto che trova come unica soluzione per ribellarsi e liberarsi quella di diventare carnefice, cadendo in una spirale di onnipotenza e violenza altrettanto disperata. Il volto della protagonista (un'intensa, asciutta e quasi ipnotica Florence Pugh) è quasi continuamente al centro dell'inquadratura, scelta stilistica che esalta il senso di prigionia nella prima parte e quello di onnipotenza nella seconda, permettendo così allo spettatore di comprendere il percorso interiore e il tracollo emotivo della tragica eroina. La metafora politica sulla condizione odierna della donna è evidente, per quanto non manchino da questo punto di vista ambiguità e lacune. Lampanti i riferimenti alla pittura del XIX secolo (Preraffaeliti e Courbet). Presentato in concorso al 34° Torino Film Festival.