La leggenda della fortezza di Suram
Ambavi Suramis tsikhitsa
Durata
88
Formato
Regista
Dalle parti della capitale Tbilisi, i georgiani sono soliti erigere robuste fortezze per difendersi da ogni possibile attacco esterno. Tra tutte, però, quella di Suram è la più fragile in assoluto, non sta in piedi e le sue fondamenta continuano a venir meno e a sgretolarsi. Sarà necessario l'estremo sacrificio di un ragazzo (Dodo Abashidze).
Penultimo film, dopo un quindicennio di silenzio forzato, di Sergej Paradžanov, il quale adatta, in maniera come sempre personale, un'arcaica leggenda appartenente al patrimonio culturale georgiano, uno di quei racconti capaci di concentrare in una vicenda di fantasia cenni esaustivi dello spirito e dell'identità di una nazione. In questo caso si parla di voglia di costruirsi delle fondamenta più solide come comunità, in senso reale e metaforico, ma anche della necessità di sottoporsi a sacrifici e privazioni (estreme) nell'ottica di un interesse collettivo e condiviso. Il regista caucasico dà fondo a tutto il consueto campionario di impulsi e suggestioni, costruendo un caleidoscopio visionario nel quale viene fatto a pezzi ogni rapporto di causa ed effetto e sembra vigere la logica della frammentazione e dell'allontanamento dalla componente immanente delle immagini, come a voler restituire una sorta di distacco dalla fisicità di ciò che viene mostrato. Paradžanov realizza così un trattato visivo in forma di elegia libera, che non somiglia a nient'altro che a se stesso, un po' come tutto il cinema del suo autore.
Penultimo film, dopo un quindicennio di silenzio forzato, di Sergej Paradžanov, il quale adatta, in maniera come sempre personale, un'arcaica leggenda appartenente al patrimonio culturale georgiano, uno di quei racconti capaci di concentrare in una vicenda di fantasia cenni esaustivi dello spirito e dell'identità di una nazione. In questo caso si parla di voglia di costruirsi delle fondamenta più solide come comunità, in senso reale e metaforico, ma anche della necessità di sottoporsi a sacrifici e privazioni (estreme) nell'ottica di un interesse collettivo e condiviso. Il regista caucasico dà fondo a tutto il consueto campionario di impulsi e suggestioni, costruendo un caleidoscopio visionario nel quale viene fatto a pezzi ogni rapporto di causa ed effetto e sembra vigere la logica della frammentazione e dell'allontanamento dalla componente immanente delle immagini, come a voler restituire una sorta di distacco dalla fisicità di ciò che viene mostrato. Paradžanov realizza così un trattato visivo in forma di elegia libera, che non somiglia a nient'altro che a se stesso, un po' come tutto il cinema del suo autore.