Le ombre degli avi dimenticati
Tini zabutykh predkiv
Durata
97
Formato
Regista
In un villaggio ucraino sui Carpazi, Marichka (Larissa Kadocnikova) si invaghisce di Ivan (Ivan Mikolajcuk), ma è la figlia dell'assassino del padre del ragazzo. Lui la ricambia, ma gli obblighi sociali (e la morte di lei) gli impongono un altro matrimonio. Il suo cuore, però, continuerà ad appartenere a Marichka anche col passare del tempo…
Paradžanov costruisce un film che ribolle di elementi naturalistici e suggestioni sospese tra lo spiritualismo e la disamina popolaresca, tra l'enigmatico e l'evocativo. L'andamento registico insegue un approccio coinvolgente e generoso, dosando a meraviglia le dimensioni e gli stimoli più disparati e lavorando egregiamente su registri diversi. Nella carriera del grande cineasta georgiano, la pellicola costituisce di fatto la punta di diamante assoluta, lontana dalle implicazioni politiche più didascaliche e immersa in un flusso antropologico di grande levatura simbolica e di ancor più marcata statura morale, che va alla ricerca delle radici e delle origini della propria storia nazionale, a partire da una straordinaria storia d'amore “qualunque”. Giostrando alla perfezione voli pindarici ed eccessi stilistici per lui inediti, Paradžanov raggiunge una sublime forma di distacco critico e allo stesso tempo di efficacia nella messa a fuoco di un microuniverso alle prese con le sue leggi, i suoi codici, i suoi specifici equilibri interni, in un affresco magniloquente all'insegna della sovrabbondanza e dello stupore. Qualcuno, all'epoca, lo bollò come un ufo proveniente da un'altra galassia: si tratta, dopotutto, dell'opera più estrema, sovversiva, spiazzante ed epocale del regista, che fece a pezzi i dettami stilistici castranti del mondo (cinematografico) sovietico, cui lui stesso era abituato, per restituire una visione individualistica, romantica e umorale dell'essere umano corredata da un andirivieni incessante di impulsi audiovisivi. Passato in Italia su Fuori orario.
Paradžanov costruisce un film che ribolle di elementi naturalistici e suggestioni sospese tra lo spiritualismo e la disamina popolaresca, tra l'enigmatico e l'evocativo. L'andamento registico insegue un approccio coinvolgente e generoso, dosando a meraviglia le dimensioni e gli stimoli più disparati e lavorando egregiamente su registri diversi. Nella carriera del grande cineasta georgiano, la pellicola costituisce di fatto la punta di diamante assoluta, lontana dalle implicazioni politiche più didascaliche e immersa in un flusso antropologico di grande levatura simbolica e di ancor più marcata statura morale, che va alla ricerca delle radici e delle origini della propria storia nazionale, a partire da una straordinaria storia d'amore “qualunque”. Giostrando alla perfezione voli pindarici ed eccessi stilistici per lui inediti, Paradžanov raggiunge una sublime forma di distacco critico e allo stesso tempo di efficacia nella messa a fuoco di un microuniverso alle prese con le sue leggi, i suoi codici, i suoi specifici equilibri interni, in un affresco magniloquente all'insegna della sovrabbondanza e dello stupore. Qualcuno, all'epoca, lo bollò come un ufo proveniente da un'altra galassia: si tratta, dopotutto, dell'opera più estrema, sovversiva, spiazzante ed epocale del regista, che fece a pezzi i dettami stilistici castranti del mondo (cinematografico) sovietico, cui lui stesso era abituato, per restituire una visione individualistica, romantica e umorale dell'essere umano corredata da un andirivieni incessante di impulsi audiovisivi. Passato in Italia su Fuori orario.