Il nastro bianco

Das weiße Band – Eine deutsche Kindergeschichte

Premi Principali

Palma d'oro al Festival di Cannes 2009

Anno

Generi

Durata

144

Formato

Regista

Un filo teso fa cadere cavallo e destriero; un granaio si incendia; una donna muore mentre sta lavorando; il figlio bello e biondo di un barone e quello deforme di una vedova vengono seviziati. Sotto un manto di fervore religioso, di ipocrita perbenismo e di cieca e muta obbedienza, a un gruppo di pargoli viene imposta una rigida educazione basata su una matrice conservatrice. Schiacciati da ferree regole, punizioni, umiliazioni e vessazioni, i bambini considerati innocenti portano al braccio un nastro bianco, premio e simbolo di purezza. Diventeranno, allo stesso tempo, fragili vittime e pericolosi carnefici.

Il (nastro) bianco caratterizza i bambini del villaggio come esseri immacolati e incapaci di qualsiasi forma di “sporcizia morale”. In realtà proprio dentro di loro vi è la forma di iniquità peggiore: il germe della violenza e del nazismo che verrà. Il nastro bianco sembra quasi un trattato filosofico: Haneke (come sempre) mostra pochissimo e lascia intendere molto sulla società, in divenire, che vuole rappresentare. La grande ambizione contenutistica del film viene accompagnata dalla fotografia memorabile di Christian Berger (nominato all'Oscar nel 2010): raggelante, magniloquente, solenne. Un bianco e nero splendido, unito a una regia sempre precisa fin nei minimi movimenti, rendono la pellicola un'opera esteticamente eccelsa, tra i migliori risultati del geniale regista di Funny Games (1997) e Niente da nascondere (2005). La freddezza estrema della fotografia, e del film in generale, crea però una sorta di barriera nei confronti di uno spettatore che fatica a entrare fino in fondo nella vicenda: si rimane a bocca aperta più per le immagini magnifiche che per la scoperta che, dietro a quei volti candidi, si nascondono i carnefici della Germania del futuro. Haneke, con Il nastro bianco, porta a termine il personale percorso di rivelazione del male, che ha toccato ogni sua pellicola, da Benny's Video (1992) fino a Il tempo dei lupi (2003), dimostrando che la crisi d'identità di cui l'uomo è spesso vittima può avere origine semplicemente da uno stato mentale contorto, in grado di segnare per sempre una nazione e un'epoca intera. Vincitore della Palma d'oro a Cannes nel 2009 e del Golden Globe come Miglior film straniero nel 2010.
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