Inghilterra, inizio '800. La giovane e benestante Emma (Anya Taylor-Joy), orfana di madre e figlia di un brontolone ipocondriaco, passa le giornate a spettegolare e organizzare la vita sentimentale delle persone a lei vicine. Legata a Mr. Knightley (Johnny Flynn), fratello del marito di sua sorella Isabella (Chloe Pirrie), Emma cerca prima di arrangiare il matrimonio fra l'amica Harriet (Mia Goth) e il pastore del villaggio, poi cade in preda alla gelosia dopo l'arrivo della bella Jane (Amber Anderson), dotata di uno straordinario talento musicale. Tra dichiarazioni d'amore malriposte, inganni e sotterfugi, la vita di Emma procede operosa ma tranquilla, fino a quando l'evidenza dell'amore per Mr. Knightley costringerà entrambi a cedere l'uno all'altra.

Nuovo adattamento del romanzo di Jane Austen, Emma. torna a trasporre al cinema le pagine del classico delle grande scrittrice britannica a ventiquattro anni di distanza dall’ultima volta. La protagonista scelta, Anya Taylor-Joy, nuova, giovane diva del firmamento hollywoodiano, appare particolarmente calzante per il personaggio principale: il suo volto dolce, obliquo e misterioso, dotato di un fascino non pacificato e non convenzionale, riveste infatti l’Emma della Austen di una rinnovata vitalità, contribuendo a traghettare in parte verso il presente un testo comunque datato e pienamente inscritto nel tempo in cui è stato redatto (correva l’anno 1815). La regia dell’esordiente Autumn de Wilde, fotografa di pregio al suo esordio dietro la macchina da presa, porta con sé qualche ingessatura di troppo nella gestione della narrazione e della messa in scena, ma tale approccio, essendo più che in parte connaturato al romanzo di partenza, non stona più di tanto. A emergere, nonostante l’assenza di guizzi sostanziali, è la discreta dose di raffinatezza con cui la totalità dell’adattamento si dispiega di fronte ai nostri occhi, attento a mantenere gli snodi essenziali della vicenda e a valorizzare la resa di mascheramenti, costumi sociali e di mondanità senza dimenticare la paralisi e il congelamento delle emozioni e la centralità icastica assegnata alla protagonista (il punto aggiunto alla fine del titolo, in atteso, non è solo un’allusione letteraria ma un chiaro indizio). Bei costumi firmati da Alexandra Byrne e un tono generale che, rispetto alla versione del 1996 con Gwyneth Paltrow, tenta di ridurre le derive patinate per assestarsi su un’idea di gusto e di leziosità decisamente meno ondivaga e, pur con tutti i limiti del caso, lievemente più acuta e stimolante. 
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