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L'ultima tappa
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Durata
105
Formato
Regista
Marta (Barbara Drapinska) viene fatta prigioniera a Auschwitz e scelta come interprete da un comandante. Dalla sua posizione privilegiata cercherà di portare avanti una resistenza sotterranea nell’attesa della liberazione del campo.
La prima inquadratura ci mostra una donna sorridente. Ma è questione di pochi secondi perché l’atmosfera diventi cupa e tragica. Per la prima volta nella storia del cinema, Wanda Jakubowska, ex prigioniera del campo, decide di girare il suo film su Auschwitz direttamente in loco. Questa scelta e la sua esperienza personale le permettono di dirigere una pellicola che spesso mostra tratti documentaristici (le donne al lavoro, le condizioni nell’ospedale interno, le carrellata sugli oggetti sequestrati a donne, uomini e bambini), colpendo nel segno con la sua crudezza che non scade mai in pornografia del dolore. Il suo sguardo è anzi totalmente rispettoso della sofferenza altrui e riesce a destreggiarsi bene tra denuncia e ode alla resistenza. Tra piccoli, grandi gesti di rivolta (soprattutto canti, ma anche scambio di informazioni preziose sottobanco), la regista esorcizza l’orrore del nazismo mostrandolo in tutta la sua crudeltà, affinché non si ripeta mai più. Anche il finale programmatico e in apparenza un po' forzato è comunque abbastanza coerente con un messaggio di denuncia che non è mai senza speranza. Il personaggio di Marta è liberamente ispirato a Mala Zimetbaum, eroica prigioniera ricordata anche da Primo Levi nel suo I sommersi e i salvati. L’ultima tappa è considerato con buona ragione tra le massime ispirazioni di tutti i film successivi sull’argomento, dalle pellicole di Pontecorvo a quelle di Spielberg, anche se forse l’omaggio più evidente è quello fatto da Andrzej Munk ne La passeggera: anche lui sceglierà l’attrice Aleksandra Śląska, che qui era al suo esordio, per interpretare un ruolo da sovrintendente del blocco femminile. Nonostanze alcune incertezze artistiche e momenti non sempre incisivi, L’ultima tappa resta ancora oggi importante sia storicamente che artisticamente per il suo realismo e per l’impegno politico.
La prima inquadratura ci mostra una donna sorridente. Ma è questione di pochi secondi perché l’atmosfera diventi cupa e tragica. Per la prima volta nella storia del cinema, Wanda Jakubowska, ex prigioniera del campo, decide di girare il suo film su Auschwitz direttamente in loco. Questa scelta e la sua esperienza personale le permettono di dirigere una pellicola che spesso mostra tratti documentaristici (le donne al lavoro, le condizioni nell’ospedale interno, le carrellata sugli oggetti sequestrati a donne, uomini e bambini), colpendo nel segno con la sua crudezza che non scade mai in pornografia del dolore. Il suo sguardo è anzi totalmente rispettoso della sofferenza altrui e riesce a destreggiarsi bene tra denuncia e ode alla resistenza. Tra piccoli, grandi gesti di rivolta (soprattutto canti, ma anche scambio di informazioni preziose sottobanco), la regista esorcizza l’orrore del nazismo mostrandolo in tutta la sua crudeltà, affinché non si ripeta mai più. Anche il finale programmatico e in apparenza un po' forzato è comunque abbastanza coerente con un messaggio di denuncia che non è mai senza speranza. Il personaggio di Marta è liberamente ispirato a Mala Zimetbaum, eroica prigioniera ricordata anche da Primo Levi nel suo I sommersi e i salvati. L’ultima tappa è considerato con buona ragione tra le massime ispirazioni di tutti i film successivi sull’argomento, dalle pellicole di Pontecorvo a quelle di Spielberg, anche se forse l’omaggio più evidente è quello fatto da Andrzej Munk ne La passeggera: anche lui sceglierà l’attrice Aleksandra Śląska, che qui era al suo esordio, per interpretare un ruolo da sovrintendente del blocco femminile. Nonostanze alcune incertezze artistiche e momenti non sempre incisivi, L’ultima tappa resta ancora oggi importante sia storicamente che artisticamente per il suo realismo e per l’impegno politico.
