Thomas Anderson (Keanu Reeves) è un programmatore di videogiochi, creatore del celebre… Matrix. Tormentato da sogni e visioni a cui non riesce a dare un senso e che racconta al suo analista (Neil Patrick Harris), temendo di essere diventato pazzo, cercherà di dare delle risposte alle sue tante domande.

Diciotto anni dopo la conclusione della trilogia, Lana Wachowski firma il quarto capitolo di Matrix, franchise aperto nel 1999 da un vero e proprio cult, a cui aveva assicurato che non sarebbe più tornata, a meno che non ci fosse una sceneggiatura realmente degna di nota. Effettivamente lo spunto narrativo alla base di Matrix Resurrections è fortemente suggestivo: l’attenzione è alta nelle prime battute per come il film gioca a specchio con il primo capitolo del franchise, come fosse un riflesso dal sapore fortemente metacinematografico. Una sensazione amplificata quando torna in scena Neo, personaggio che si riavvale del sempre grande carisma di Keanu Reeves e che sembra un alter ego della stessa regista tornata a lavorare sul franchise che le aveva dato grande notorietà. Interessante lo spunto di frenare le fantasie del personaggio con continue pillole blu che ci trasportano dentro una routine quotidiana fatta di costanti ripetizioni, così come la trovata di far “rivivere” i personaggi nel mondo di oggi. Peccato che, una volta fuori da Matrix, quando si arriva al mondo reale e la verità prende il sopravvento, il film perda ogni possibile fascino all’interno di una narrazione tanto ridondante quanto prolissa, che sa di già visto e vanifica tutto quello slancio iniziale. Si sarebbe potuto spingere ancora di più sul pedale della metanarrazione, con un pizzico di maggiore coraggio che non avrebbe guastato, anche perché la messinscena non vuole (o non riesce?) ad alzare l’asticella della spettacolarità e il tutto diventa presto poco appassionante. Il lato sentimentale della vicenda è l’unico collante che fa mantenere una certa attenzione verso la storia, ma non è abbastanza forte a rialzare le sorti di un prodotto funzionale nell’idea di partenza, ma debole nel suo svolgimento. È un piacere anche ritrovare Carrie-Anne Moss nei panni di Trinity, ma il resto del cast non è all’altezza dei due protagonisti. 
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