Giovane pellerossa (Richard Barthelmess) torna nella sua riserva e scopre le terribili condizioni in cui versa il suo popolo. Le promesse dei bianchi non sono state mantenute e i nativi vengono sfruttati e maltrattati. Deciso a vendicarsi degli oppressori, parte per Washington sperando di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo.

Tra i tanti western americani che sono stati distribuiti tra gli anni Trenta e Quaranta, Un popolo in ginocchio è uno dei pochi che ha trattato in maniera approfondita la questione dei nativi americani. Solida nel suo grido di denuncia, e coinvolgente nelle azioni messe in campo, è tra le opere più significative di Alan Crosland, regista de Il cantante di jazz (1927), primo film parlato della storia del cinema. Impeccabile per tutta la sua durata, il film paga un finale frettoloso e poco credibile, che rischia di far dimenticare i tanti pregi visti in precedenza. Il versatile protagonista Richard Barthelmess, bianco newyorkese classe 1895, aveva interpretato un uomo cinese in Giglio infranto (1919) di David W. Griffith, mentre qui è un credibile Sioux.
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