Palestina. L'abitazione di Mohammad (Mohammad Bakri), sposato e padre di cinque figli (Hend Ayoub, Marco Alsaying, Sarah Hamzeh, Karem Emad Hassan Aly, Amir Hasayen), viene invasa da alcuni soldati israeliani, che ne vogliono fare un punto strategico di osservazione. La convivenza forzata creerà non poche tensioni.

«Tutti abbiamo paura. Pensi che quei soldati non ne abbiano? Forse hanno più paura di te e di me». Saverio Costanzo (anche sceneggiatore con la sorella Camilla, Alessio Cremonini e Sayed Kashua) esordisce nel lungometraggio di finzione con un'opera che richiama esplicitamente le sue origini documentariste: una macchina da presa incerta e concentrata sui personaggi, fotografia sporca e sgranata (opera di Gigi Martinucci) e un generale senso di immobilità (fisica ed emozionale) che tenta di trasmettere l'angoscia esistenziale insita nel conflitto israelo-palestinese. Rabbia, sofferenze, sopraffazione: le ambizioni sono pindariche, ma il risultato risente di un ritmo agonizzante e di una certa pretestuosità nel riflettere stilisticamente il dramma rappresentato. Non mancano comunque picchi insostenibili di tensione; e la degenerazione delle dinamiche familiari colpisce spesso nel segno. Tentativo coraggioso, anche se incerto, di affrontare un tema quasi insondabile nella sua complessità. Vincitore di un David di Donatello e di un Nastro d'argento (miglior regista esordiente), oltre che del Pardo d'oro al Festival di Locarno.
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