Le quattro volte

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88

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Un vecchio pastore di capre (Giuseppe Fuda) passa l'ultima fase della sua vita in un silenzioso paesino calabrese.

Dopo Il dono (2003), Michelangelo Frammartino si dedica a uno pseudo-documentario incentrato sul passaggio del tempo, in cui la parvenza di trama svanisce di minuto in minuto con l'intensificarsi della quieta lentezza, pragmatica e ipnotica insieme, dei riti agresti. Cerimonie naturali che si svolgono all'interno delle “quattro volte” del titolo, cioè le “quattro vite” secondo Pitagora: quella minerale, quella vegetale, quella animale e quella umana. Le quattro volte è un'ode alla natura e alla semplicità della vita, inscenata dall'occhio lucidissimo di un autore italiano già padrone di un'estetica personalissima e non più derivata dalle proprie ossessioni pittoriche (Velásquez e Vermeer) e cinematografiche (Bartas e Tarr), ben visibili e piuttosto esplicite nel precedente lungometraggio. Riferimenti che qui, con una maggiore dose di maturità, vengono sublimati e sorpassati, elevando il respiro complessivo dell'opera. La solitudine, la lentezza, il silenzio: sono questi gli elementi con i quali Frammartino realizza un sincero e commovente atto d'amore nei confronti di quella quotidianità rurale tanto povera e umile quanto coraggiosa, del cui ardore la macchina da presa del regista si fa carico in primissima persona.
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Dello stesso regista

Il buco
2021

Il dono
2003

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