Il mio amico Robot

Anni Ottanta, New York City. Dog è un cane antropomorfo e solitario che passe le sue serate mangiando comfort food e dedicandosi ai videogiochi. Un giorno decide di acquistare un robot per avere compagnia e tra i due nasce infatti una fortissima amicizia. Al termine di alcune ore passate in spiaggia a riposarsi, però, Robot si blocca e i due rischiano di doversi separare per sempre.

Regista tra i più eccentrici del cinema spagnolo del Nuovo Millennio, Pablo Berger firma il suo primo film d’animazione dopo quattro lungometraggi tradizionali in live action. L’apparato estetico messo in campo è decisamente semplice e più simile a quello di prodotti televisivi che cinematografici, ma al regista interessa soprattutto raccontare la storia di una toccante amicizia fuori dal comune, che si trasforma presto in un grande affetto e in un sentimento straordinario tra i due protagonisti. La particolarità che salta immediatamente all’occhio è il fatto che Berger abbia firmato una pellicola completamente muta, rimandando così al suo lavoro più celebre fatto in precedenza: Blancanieves del 2012 utilizzava infatti il linguaggio del cinema di quel periodo per dare vita a una brillante e anticonvenzionale riproposizione della celebre fiaba. Il mio amico Robot è un film essenziale, che a volte rischia di essere troppo ridondante e piuttosto allungato in alcuni passaggi, ma che al termine della visione riesce ugualmente a risultare più che soddisfacente per le costanti trovate drammaturgiche e formali messe in campo. Emotivamente coinvolgente la parte conclusiva in cui anche noi spettatori ci perdiamo tra sogni e realtà, a dimostrazione del fatto che la struttura generale realizzata dal regista sia ficcante al punto giusto. Numerose le citazioni presenti al suo interno, da quella più esplicita a Il mago di Oz a quella più velata per l'effetto Vertigo utilizzato ne Lo squalo di Steven Spielberg e riproposto da Berger nel momento in cui Dog si accorge delle doti acrobatiche e acquatiche del suo nuovo amico.