
Shopgirl
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Durata
104
Formato
Regista
Una commessa di Saks (Claire Danes) incontra per caso un giovane squattrinato (Jason Schwartzman). Tra i due nasce un’improbabile relazione che però si interrompe quando Mirabelle accetta la corte di un ricco uomo d’affari (Steve Martin) e Jeremy inizia casualmente un viaggio per gli Stati Uniti.
La voce narrante in apertura crea un interessante atmosfera fiabesca che stride con la frenesia metropolitana di Los Angeles, l’incontro casuale è quello tipico della commedia romantica con due giovani amanti disfunzionali e impacciati, ma lo sviluppo, con l’entrata in scena del personaggio interpretato da Martin (scrittore dell’omonimo romanzo e sceneggiatore), porta con sé degli elementi nostalgici, se non addirittura melanconici, che fanno mettere in dubbio lo statuto della storia e della pellicola (diretta da Anand Tucker). L’approccio intimistico, quasi esistenzialista, alle non eccezionali vicissitudini della giovane protagonista - che cresce attraverso il dolore per l’amore non ricambiato, trova la sua strada in una relazione appagante e nell’occasione lavorativa che desiderava - favorisce una riflessione sulla vulnerabilità delle relazioni umane e sull’amore come sentimento totalizzante. Sono tutte tematiche agrodolci e inaspettate a cui deve necessariamente corrispondere un alleggerimento dei toni, qui garantito da uno Schwartzman che, come il resto del cast (Claire Danes fragile e luminosa, Steve Martin a suo agio fuori dal ruolo a cui ci ha abituati), risulta particolarmente ispirato. Alla fine, il risultato è apprezzabile per la sua unicità ma la visione rimane destabilizzante poiché, soprattutto nel finale, a prevalere sui sorrisi sono le lacrime e ci si chiede se la vicenda meritasse davvero il grande schermo.
La voce narrante in apertura crea un interessante atmosfera fiabesca che stride con la frenesia metropolitana di Los Angeles, l’incontro casuale è quello tipico della commedia romantica con due giovani amanti disfunzionali e impacciati, ma lo sviluppo, con l’entrata in scena del personaggio interpretato da Martin (scrittore dell’omonimo romanzo e sceneggiatore), porta con sé degli elementi nostalgici, se non addirittura melanconici, che fanno mettere in dubbio lo statuto della storia e della pellicola (diretta da Anand Tucker). L’approccio intimistico, quasi esistenzialista, alle non eccezionali vicissitudini della giovane protagonista - che cresce attraverso il dolore per l’amore non ricambiato, trova la sua strada in una relazione appagante e nell’occasione lavorativa che desiderava - favorisce una riflessione sulla vulnerabilità delle relazioni umane e sull’amore come sentimento totalizzante. Sono tutte tematiche agrodolci e inaspettate a cui deve necessariamente corrispondere un alleggerimento dei toni, qui garantito da uno Schwartzman che, come il resto del cast (Claire Danes fragile e luminosa, Steve Martin a suo agio fuori dal ruolo a cui ci ha abituati), risulta particolarmente ispirato. Alla fine, il risultato è apprezzabile per la sua unicità ma la visione rimane destabilizzante poiché, soprattutto nel finale, a prevalere sui sorrisi sono le lacrime e ci si chiede se la vicenda meritasse davvero il grande schermo.