Shortbus – Dove tutto è permesso
Shortbus
Durata
101
Formato
Regista
New York. Le peripezie di vari personaggi ossessionati dal sesso, in diverse forme ed espressioni: Sofia (Sook-Yin Lee), sessuologa alla perenne ricerca dell'orgasmo; James (Paul Dawson) e Jamie (PJ DeBoy), coppia gay che vuole sperimentare; Severin (Lindsay Beamish), dominatrice insoddisfatta e solitaria. A vegliare su di loro, il travestito Justin Bond, proprietario del club Shortbus.
John Cameron Mitchell scrive e dirige un apologo anarchico (almeno nelle intenzioni) sulla libertà fisica ed emozionale, inno sfrenato al sesso e alle sue variazioni (e deviazioni, tutte apparentemente giustificate e giustificabili). Un approccio giocoso, spensierato ed esplicito (ma con rifiuto della volgarità, anche nei momenti più estremi) per un film che tratteggia i personaggi sviscerando le più intime compulsioni; la sceneggiatura, decisamente furbetta, è comunque assai più convenzionale di quanto voglia sembrare, tentando un bilanciamento tra sorrisi e lacrime che appare spesso forzato e irritante. E il quadro corale, pur nel variopinto caos (bilanciato da una messa in scena lineare con qualche calcolata deriva indie), non convince, risultando incompleto e poco coerente. Apprezzabile, in ogni caso, il coraggio di rappresentare senza compromessi sequenze eccessive al limite dell'hardcore (con menzione per l'incipit, di notevole impatto). Presentato fuori concorso, con inaspettato successo, al Festival di Cannes.
John Cameron Mitchell scrive e dirige un apologo anarchico (almeno nelle intenzioni) sulla libertà fisica ed emozionale, inno sfrenato al sesso e alle sue variazioni (e deviazioni, tutte apparentemente giustificate e giustificabili). Un approccio giocoso, spensierato ed esplicito (ma con rifiuto della volgarità, anche nei momenti più estremi) per un film che tratteggia i personaggi sviscerando le più intime compulsioni; la sceneggiatura, decisamente furbetta, è comunque assai più convenzionale di quanto voglia sembrare, tentando un bilanciamento tra sorrisi e lacrime che appare spesso forzato e irritante. E il quadro corale, pur nel variopinto caos (bilanciato da una messa in scena lineare con qualche calcolata deriva indie), non convince, risultando incompleto e poco coerente. Apprezzabile, in ogni caso, il coraggio di rappresentare senza compromessi sequenze eccessive al limite dell'hardcore (con menzione per l'incipit, di notevole impatto). Presentato fuori concorso, con inaspettato successo, al Festival di Cannes.