
I soliti sospetti
The Ususal Suspects
Premi Principali

Oscar al miglior attore non protagonista 1996
Durata
106
Formato
Regista
Portati in commissariato per un'identificazione, cinque criminali – Verbal Kint (Kevin Spacey), Dean Keaton (Gabriel Byrne), Fenster (Benicio Del Toro), Todd Hockney (Kevin Pollak) e Ray McManus (Stephen Baldwin) – si mettono d'accordo per mettere a segno un grande colpo. Dietro di loro, però, c'è sempre l'ombra di Kaiser Soze, misterioso genio criminale che riesce a manipolarli a suo piacimento.
Diventato presto un cult del cinema americano, I soliti sospetti è il secondo lungometraggio firmato da Bryan Singer dopo Public Access (1993). Il giovane regista porta sul grande schermo un intricato intreccio che entusiasma e tiene lo spettatore con il fiato sospeso, riuscendo a creare notevoli aspettative. Fulcro assoluto della pellicola è l'efficace descrizione di Keyser Soze, personaggio quasi demoniaco, la cui crudeltà ed efferatezza vengono trasmesse senza mai mostrarne il volto: entità intangibile e inafferrabile, mezzo per esaltare un'inquietudine quasi angosciante, stigmatizzata da una fotografia soffusa e patinata (firmata da Newton Thomas Sigel), ricca di luci soffocate, e da un ambientazione sporca, periferica e pericolosa, tipicamente noir. Ma è lo script a rivelarsi fondamentale, mettendo in scena una vicenda contorta che, durante il suo svolgimento, si snoda con facilità e semplicità disarmanti: ne è esempio calzante la lunga conversazione tra l'ispettore di polizia e Verbal Kint, nella quale ogni singola parola pronunciata dai due personaggi ha un suo significato. Ottima prove attoriali: funzionale Gabriel Bryne, straordinario Kevin Spacey (vincitore di un Oscar come miglior attore non protagonista), che interpreta con grande profondità un ruolo non semplice. Un'altra statuetta alla sceneggiatura originale di Christoper McQuarrie. Presentato fuori concorso al 48° Festival di Cannes.
Diventato presto un cult del cinema americano, I soliti sospetti è il secondo lungometraggio firmato da Bryan Singer dopo Public Access (1993). Il giovane regista porta sul grande schermo un intricato intreccio che entusiasma e tiene lo spettatore con il fiato sospeso, riuscendo a creare notevoli aspettative. Fulcro assoluto della pellicola è l'efficace descrizione di Keyser Soze, personaggio quasi demoniaco, la cui crudeltà ed efferatezza vengono trasmesse senza mai mostrarne il volto: entità intangibile e inafferrabile, mezzo per esaltare un'inquietudine quasi angosciante, stigmatizzata da una fotografia soffusa e patinata (firmata da Newton Thomas Sigel), ricca di luci soffocate, e da un ambientazione sporca, periferica e pericolosa, tipicamente noir. Ma è lo script a rivelarsi fondamentale, mettendo in scena una vicenda contorta che, durante il suo svolgimento, si snoda con facilità e semplicità disarmanti: ne è esempio calzante la lunga conversazione tra l'ispettore di polizia e Verbal Kint, nella quale ogni singola parola pronunciata dai due personaggi ha un suo significato. Ottima prove attoriali: funzionale Gabriel Bryne, straordinario Kevin Spacey (vincitore di un Oscar come miglior attore non protagonista), che interpreta con grande profondità un ruolo non semplice. Un'altra statuetta alla sceneggiatura originale di Christoper McQuarrie. Presentato fuori concorso al 48° Festival di Cannes.