Per Mona (Clara Khoury), israeliana dell'altopiano del Golam, è il giorno del matrimonio con un cugino conosciuto solo per via epistolare; quello che dovrebbe essere il giorno più bello della sua vita è in realtà pieno di malinconia e di tristezza, soprattutto a causa della consapevolezza di non poter più rivedere la famiglia.

Dramma che assume i contorni della commedia assurda, dall'umorismo lieve e di parola, e che dimostra la capacità, affinata nel successivo Il giardino di limoni (2008), del regista israeliano Eran Riklis di partire da una situazione privata arrivando a un affresco sociale e culturale più vasto, che abbraccia e sfiora una varietà di temi. Così, il film funziona maggiormente sul versante di rappresentazione "pubblica" che su quello (comunque abbastanza riuscito) più intimista del ritratto della malcapitata protagonista, che diventa anzi strumento per una sorta di analisi sociologica. Lo stile è posato e calmo, a tratti graffiante: un incedere quasi invisibile, che cerca di lasciare più spazio possibile alla forza delle tematiche e dei personaggi che ne sono portatori. Come nel film successivo, l'intervento delle istituzioni rende illogici e assurdi i comportamenti quotidiani, con il concetto stesso di confine che gioca un ruolo importante. Tanta carne al fuoco ma, nonostante qualche passaggio troppo didascalico e un po' prevedibile, Riklis sa bene come gestirla. Scritto dal regista con Suha Arraf.
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