Era mio padre

Illinois, 1931. Killer fedele e giudizioso, Michael "Mike" Sullivan (Tom Hanks) lavora per conto di John Rooney (Paul Newman), gangster irlandese simile per lui a una figura paterna. Quando il piccolo Michael Sullivan Jr. (Tyler Hoechlin) assiste per caso a un brutale omicidio commesso da Connor Rooney (Daniel Craig), scapestrato figlio di John, Mike inizia una disperata fuga in auto con il figlioletto. I due sono braccati dal sicario Maguire (Jude Law), ingaggiato da Connor affinché elimini lo scomodo testimone.

Dopo il clamoroso successo della pellicola di esordio American Beauty (1999), Sam Mendes indaga ancora una volta le ambiguità delle viscere americane realizzando un ritratto intimista che assume i tratti epici di una sommessa tragedia a metà tra gangster-movie e western metropoltano. Come ben esplicita il titolo originale, lo stesso della serie di fumetti di Max Allan Collins pubblicata nel 1998 da cui è tratto, l'opera è un sofferto viaggio per fuggire dalla brutalità della violenza che, in chiave metaforica, diventa una (ri)scoperta dell'amore per i valori più autentici della vita. Assolutamente centrale anche il rapporto tra padre putativo/biologico e figli, in un gioco di specchi che innesca una spirale di rimpianti e rimorsi in nome dei legami di sangue o dell'etica criminale. Nulla di troppo nuovo ma, seppur si sfiori la maniera, risulta ugualmente efficace la sceneggiatura di David Self, ricca di rime interne, e notevole la regia di Mendes, capace di unire classicismo formale e senso dello spettacolo. Sotto il segno di un tragico fatalismo che non esclude la forza dei sentimenti, la freddezza della suggestiva ambientazione d'epoca fa da contrappunto al calore dei rapporti umani. Intenso Tom Hanks, capace di tenere testa a un grande Paul Newman, alla sua ultima prova di attore. Oscar alla fotografia di Conrad L. Hall (1926-2003). Scenografia di Dennis Gassner. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.