Stazione centrale
Bab el hadid
Durata
77
Formato
Regista
Mentalmente instabile, Qinawi (Youssef Chahine) è un giovane venditore ambulante di giornali alla stazione de Il Cairo, che ritaglia fotografie di donne in abiti succinti per assecondare una ossessione per il corpo femminile frutto di istinti sessuali repressi. Sempre più attratto dalla procace Hanuma (Hind Rostom), promessa sposa ad Abu Siri (Farid Shawqi), sprofonderà nel baratro della pazzia.
Esponente di spicco del cinema egiziano, Youssef Chahine, che coraggiosamente si ritaglia anche la parte del protagonista, ha realizzato un dramma a tinte forte di forza inusitata, capace di attingere al Neorealismo italiano, al turgido mélo da romanzo popolare e alle tinte fosche del noir psicologico. Il microcosmo della stazione diventa un coacervo di persone ai margini, un ribollente calderone di esistenze senza futuro che vivono in un mondo chiuso che osserva la realtà in costante movimento simboleggiata dai treni e dai caotici frequentatori del luogo. Straordinarie la figura di Qinawi, maschera triste e compassionevole costretta a convivere con una natura disturbata, e la presenza della provocante Hanuma, bellezza esotica dalla notevole carica erotica. Atmosfera opprimente e disperata, ma anche un realismo di scabra bellezza e momenti di rara poesia. Tra le scene di spicco, sono da segnalare l'incipit che, attraverso un montaggio serrato racchiude già l'essenza dell'opera, l'inquietante sequenza con il gatto (evidente allegoria diabolica, secondo la tradizione araba) e il potente finale sul filo della tragedia. Un grandissimo titolo che dà vita a una nuova corrente finora sconosciuta al cinema europeo tanto quanto a quello hollywoodiano. Respinto da critica e pubblico all'uscita, venne riscoperto solo alcuni decenni più tardi. Presentato in concorso al Festival di Berlino.
Esponente di spicco del cinema egiziano, Youssef Chahine, che coraggiosamente si ritaglia anche la parte del protagonista, ha realizzato un dramma a tinte forte di forza inusitata, capace di attingere al Neorealismo italiano, al turgido mélo da romanzo popolare e alle tinte fosche del noir psicologico. Il microcosmo della stazione diventa un coacervo di persone ai margini, un ribollente calderone di esistenze senza futuro che vivono in un mondo chiuso che osserva la realtà in costante movimento simboleggiata dai treni e dai caotici frequentatori del luogo. Straordinarie la figura di Qinawi, maschera triste e compassionevole costretta a convivere con una natura disturbata, e la presenza della provocante Hanuma, bellezza esotica dalla notevole carica erotica. Atmosfera opprimente e disperata, ma anche un realismo di scabra bellezza e momenti di rara poesia. Tra le scene di spicco, sono da segnalare l'incipit che, attraverso un montaggio serrato racchiude già l'essenza dell'opera, l'inquietante sequenza con il gatto (evidente allegoria diabolica, secondo la tradizione araba) e il potente finale sul filo della tragedia. Un grandissimo titolo che dà vita a una nuova corrente finora sconosciuta al cinema europeo tanto quanto a quello hollywoodiano. Respinto da critica e pubblico all'uscita, venne riscoperto solo alcuni decenni più tardi. Presentato in concorso al Festival di Berlino.