Todo modo
Durata
125
Formato
Regista
In uno scenario fanta-apocalittico, durante una misteriosa epidemia, le alte sfere del potere politico, governate dal conciliante M. (Gian Maria Volonté), il Presidente, si radunano in una costruzione "sacra" simile a un eremo-prigione per cercare di capire i motivi della crisi interna al partito. La cerimonia, capeggiata dal potente Don Gaetano (Marcello Mastroianni), assume toni sempre più tragici e sinistri.
Penultimo lungometraggio per il cinema di Elio Petri, e uno dei suoi migliori. Prendendo spunto dalla pratica religiosa degli Esercizi Spirituali, approvata dalla Chiesa nel 1548, il film è un inquietante apologo che precorre la dissoluzione e l'auto-annientamento dell'ideologia politica. La ricerca dell'identità di partito (smarrita?) deve necessariamente passare da una riconciliazione interna che, invece, assume i tratti di un funereo cerimoniale. In un clima onirico e straniante, la pellicola spinge a una riflessione sul potere politico (mai così vicino a quello divino) legato alla brama di dominio e alla mostruosa facoltà di menzogna di chi ne fa parte. Come in un oscuro rituale liturgico, carico di simbolismi e macabre allegorie, si consuma un'opera dal fascino tenebroso, di inaudita forza espressiva: le fosche allusioni metastoriche (la crisi della DC), le tesi ideologiche astratte e i passaggi criptici sono riscattati dal coraggio di uno tra i più influenti autori del cinema italiano. Straordinaria l'architettura geometrica degli interni (scene di Dante Ferretti), giocata sul bianco (la purezza) e il nero (il peccato), con rimandi surrealisti all'iconografia sacra, evidenziati dalle statue metafisiche. «Siamo i morti che seppelliscono i morti». Fantapolitica di disturbante realismo. Volonté superbo nei panni del Presidente (modellato su Aldo Moro), ma è Mastroianni, indimenticabile presenza ieratica, a regalare una delle più grandi interpretazioni di sempre. Liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. Nastro d'argento a Ciccio Ingrassia.
Penultimo lungometraggio per il cinema di Elio Petri, e uno dei suoi migliori. Prendendo spunto dalla pratica religiosa degli Esercizi Spirituali, approvata dalla Chiesa nel 1548, il film è un inquietante apologo che precorre la dissoluzione e l'auto-annientamento dell'ideologia politica. La ricerca dell'identità di partito (smarrita?) deve necessariamente passare da una riconciliazione interna che, invece, assume i tratti di un funereo cerimoniale. In un clima onirico e straniante, la pellicola spinge a una riflessione sul potere politico (mai così vicino a quello divino) legato alla brama di dominio e alla mostruosa facoltà di menzogna di chi ne fa parte. Come in un oscuro rituale liturgico, carico di simbolismi e macabre allegorie, si consuma un'opera dal fascino tenebroso, di inaudita forza espressiva: le fosche allusioni metastoriche (la crisi della DC), le tesi ideologiche astratte e i passaggi criptici sono riscattati dal coraggio di uno tra i più influenti autori del cinema italiano. Straordinaria l'architettura geometrica degli interni (scene di Dante Ferretti), giocata sul bianco (la purezza) e il nero (il peccato), con rimandi surrealisti all'iconografia sacra, evidenziati dalle statue metafisiche. «Siamo i morti che seppelliscono i morti». Fantapolitica di disturbante realismo. Volonté superbo nei panni del Presidente (modellato su Aldo Moro), ma è Mastroianni, indimenticabile presenza ieratica, a regalare una delle più grandi interpretazioni di sempre. Liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. Nastro d'argento a Ciccio Ingrassia.