L'operaio Ludovico Massa (Gian Maria Volonté), detto Lulù, ha 31 anni, un'ulcera, due intossicazioni da vernice e due famiglie da mantenere ed è un'instancabile cottimista rispettato dai padroni e odiato dai colleghi. Quando rimarrà vittima di un incidente che gli farà perdere un dito, Lulù si ribellerà ai turni disumani di lavoro e all'indifferenza dei padroni, schierandosi con alcuni studenti e altri operai sindacalizzati. Il radicale cambiamento porterà Lulù a perdere il posto e a essere abbandonato dai suoi compagni e dai suoi famigliari.

Dopo il successo di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), la coppia Petri-Volonté racconta l'alienazione del lavoro in fabbrica come vertice di uno smarrimento collettivo che porta alla spersonalizzazione individuale e al distacco progressivo da un mondo che non si riesce più a comprendere e in cui è impossibile identificarsi. Il lavoro a cottimo si presenta come una normalizzazione di un processo apparentemente irreversibile di meccanizzazione e perdita di spessore umano, con relativa regressione a uno stato semi-animalesco e degradato (Lulù è ossessionato dal sesso oltre ad avere un fisico e una salute a dir poco cagionevoli per un trentunenne) e una distinzione sempre più labile tra l'operaio e il suo strumento di lavoro (tanto che Lulù e la macchina lavorano in stretta simbiosi e con tempistiche e ritmi pressoché identici). Ma il film denuncia con impeccabile arguzia anche l'inconcludenza e la contraddittorietà dei movimenti studenteschi e delle associazioni sindacali, troppo astratte, fondamentalmente autoreferenziali e impreparate dinnanzi a questioni spinose e concrete cui riescono a contrapporre solo stanchi slogan e risposte ideologiche. Lo stile di Petri anche in questa occasione riesce a coniugare sapientemente il taglio grottesco con un surrealismo cupo e rabbioso dando forma espressiva a un disagio lacerante incarnato da un magnetico Gian Maria Volonté, in una delle interpretazioni più impressionanti della storia del cinema italiano. Palma d'oro a Cannes nel 1972, premio conquistato in ex aequo con Il caso Mattei (1972) di Francesco Rosi.
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