Storia di George (Gary Sinise), bracciante che si prende cura di Lennie (John Malkovich), uomo forte e dal cervello di un bambino. I due passano da ranch a ranch, fino ad arrivare alla fattoria dei Curley, dove, a causa dell'attraente moglie del figlio del fattore (Sherilyn Fenn), la tragedia è dietro l'angolo.

Asciutta trasposizione del grande classico di John Steinbeck, adattato da Horton Foote, che punta all'essenzialità nel tradurre l'immensa e dolorosa pietas che caratterizza il romanzo, in particolare nel suo celeberrimo finale, tra i più dolorosi della letteratura novecentesca. Gary Sinise, alla sua seconda regia per il cinema, realizza un prodotto che evita gli eccessi melodrammatici e che tende a una regia invisibile e a uno sguardo il più possibile pudico, preferendo affidarsi ai dialoghi e alla rappresentazione del contesto rurale degli anni Trenta. Il motivo, probabilmente, è quello del timore reverenziale verso l'opera letteraria di riferimento e del relativo rischio di tradirla con eccessi pruriginosi: ne emerge un film che scorre senza problemi e con il ritmo giusto, ma con gli effetti collaterali di non approfondire alcune figure (un po' abbozzata lady Curley) e di non superare lo scoglio della trasposizione troppo fedele. Nel complesso, comunque, il tutto funziona, anche per merito della buona prova dei due protagonisti: lo stesso Gary Sinise e un istrionico (al punto giusto) John Malkovich. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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