Salvatore (Gian Maria Volonté) ritorna al paese in Sicilia dopo essersi formato come sindacalista nel continente. Prima appoggia l'occupazione delle terre da parte dei contadini, poi decide di fare il doppio gioco con la mafia che governa i braccianti. Assunto come capo turno alle cave di pietra da Don Vincenzo (Turi Ferro), se ne va a casa dopo otto ore (anziché dodici), istigando i lavoratori: pagherà con la vita la sua arroganza, ma potrà forse smuovere qualche coscienza.

La vicenda dell'attivista Salvatore Carnevale è lo spunto per l'esordio ufficiale dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani insieme a Valentino Orsini, dopo che i tre registi avevano collaborato con Joris Ivens alla realizzazione del documentario L'Italia non è un paese povero (1960). La volontà di realizzare una pellicola espressamente politica porta con sé pregi e difetti, condensati in una discontinuità formale che traspare anche nell'interpretazione di Volonté, altalenante tra realismo e riflessione straniata. Convincente l'utilizzo di certi scenari naturali (la cava, la piazza del paese), mentre lasciano freddi le parentesi sentimentali e il paragone cristologico che tenta il protagonista verso la fine. L'omicidio è risolto, però, con esemplare secchezza e il risultato è una pellicola di grande impegno civile, capace di colpire a fondo e ricca di riflessioni interessanti.
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