Volveréis - Una storia d'amore quasi classica

Volveréis

Anno

Paese

Durata

114

Formato

Regista

Ale (Itsaso Arana) e Alex (Vito Sanz), lei regista e lui attore, sono una coppia di lunga data che decide inaspettatamente di lasciarsi, senza drammi. Si propongono così di organizzare una festa di separazione che somigli a un matrimonio, ma partendo da premesse opposte…

Presentato al Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des cinéastes, dove si è aggiudicato il premio come miglior opera europea, Volveréis è il settimo lungometraggio di Jonàs Trueba. Il titolo, che unisce i significati di volver (tornare) e di ver (vedere), come suggerisce Trueba con un messaggio in sovraimpressione, è un film riflessivo, filosofico ma soprattutto cinefilo, che gioca continuamente sovrapponendo i piani narrativi, realtà e finzione, cinema e vita. Analizzando la coppia nella sua dimensione ontologica, fatta di gesti quotidiani, sguardi e pensieri ad alta voce che si completano a vicenda, il film teorizza la separazione come un atto d’amore che va celebrato e in cui l'avvicinarsi della data della fatidica festa coincide con una crescente forma di distrazione dai motivi stessi di questo ipotetico addio e dalla sofferenza dei due protagonisti. Volveréis, film eccessivamente verboso e prolisso, ma dotato di una grande originalità e intensità di scrittura, accarezza così tutti gli stati d’animo dei protagonisti con delicatezza e con un uso sapiente della luce e degli spazi. L’amore per Trueba non è l’idillio della coppia in primavera, ma la complicità silenziosa e paziente che viene dalla condivisione e da una dimensione più elevata di solidarietà, in cui è appositamente lasciata in secondo piano la dimensione erotica. In questo film, in cui il titolo sembra essere anche un augurio, c'è un terzo protagonista che è proprio il cinema: la Settima arte salva, migliora la vita, dice Trueba padre citando il filosofo Stanley Cavell (e la sua opera Alla ricerca della felicità: la commedia Hollywoodiana del rimatrimonio, 1981), vate di amare consolazioni. Il cinema è capace di leggere tra le pieghe dell’animo umano emozioni e intenzioni inespresse. Oppure è semplicemente un inutile e divertente diversivo di felicità, come i tarocchi di Bergman che rispondono al quesito di senso con triplici diapositive delle sue pellicole. Da segnalare anche la buona prova del cast in un film in cui i pregi superano decisamente i (lievi) difetti. 


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