Sulla infinitezza
Om det oändliga
2019
Rai Play
Paesi
Svezia, Germania, Norvegia
Generi
Drammatico, Grottesco
Durata
73 min.
Formato
Colore
Regista
Roy Andersson
Attori
Jane-Ege Ferling
Martin Serner
Bengt Bergius
Tatiana Delaunay
Anders Hellström
Thore Flygel

In una panoramica che passa in rassegna diversi personaggi appartenenti anche a epoche storiche differenti, passano sullo schermo vari esempi di umanità sconfitta e frustrata che però, forse, può ancora rifugiarsi in un barlume speranza.

Al suo quarto film consecutivo concepito secondo lo stesso stile e incentrato sulla stessa visione del mondo, Roy Andersson affronta ancora una volta la disperazione e la rassegnazione collettiva nella contemporaneità, attraverso un quadro di magistrale ricercatezza visiva costruito come una serie di tableaux vivants a sé stanti, che riescono ad avere una propria ragione d’essere anche se considerati in autonomia ed estrapolati dal disegno globale dell’opera. Il film, giocato su inquadrature fisse che dimostrano una notevole padronanza nella composizione dell’immagine, aggiunge un ulteriore tassello alla poetica del suo autore, riprendendo (fin troppo pedissequamente) lo sguardo dei precedenti Songs From the Second Floor (2000), You, the Living (2007) e Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Leone d’oro a Venezia nel 2014. La galleria di personaggi, ancora una volta visti come maschere impersonali che subiscono la realtà circostante in maniera passiva, colpisce nel segno, nonostante non tutte le figure sullo schermo abbiano la stessa potenza a livello simbolico. La Storia fa capolino con le fattezze di Hitler e Ivan il Terribile, il presente, invece, è tutto calato in una sordida quotidianità popolata da persone comuni. Ad accomunare le diverse epoche c’è un senso di distruzione trasversale, fisico e tangibile oppure semplicemente interiore. L’infinito del titolo restituisce una idea di perdita, che però non esclude la possibilità di credere in una condizione di vita migliore. Meravigliosa, in questo senso, la presenza dei due amanti abbracciati in un volo di rara poesia, la cui iconografia rimanda al capolavoro cubista Sulla città (1918) di Marc Chagall. Comico, tragico e grottesco convivono alla perfezione, ma, per chi conosce già il cinema dell’autore svedese, la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di già visto potrebbe smorzare un po’ l’entusiasmo generale. In ogni caso, l’essere umano moderno visto da Andersson, diviso tra assurdità esistenziale e straniato surrealismo, rimane una presenza cinematografica destinata a rimanere nella memoria collettiva. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha vinto il premio per la miglior regia.

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