Songs From the Second Floor
Sånger från andra våningen
Durata
98
Formato
Regista
Sogni, speranze e sconfitte di alcuni fragili e bizzarri personaggi, descritti sullo sfondo di una Svezia apocalittica. Tra questi, un padre e il suo problematico figlio internato in manicomio.
«It's not easy being human». Primo capitolo di un trittico surrealista (con i successivi You, the Living, 2007, e Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, 2014) dedicato all'assurdità dell'esistenza, scritto e diretto dallo svedese Roy Andersson. Ispirandosi a un poema di César Vallejo, il regista mette in scena il grottesco connaturato al quotidiano, con uno stile limpido e cristallino (i quadri fissi, simmetrici e luminosi, a simbolizzare la staticità di una società al collasso) che fa emergere per contrasto la desolazione imperante. Consumismo, crisi economica, omologazione di massa: le piaghe contemporanee sono sviscerate con ironia e tenerezza (lo sguardo autoriale si fonde partecipe con quello dei disperati protagonisti, ridotti a manichini inerti), denunciando l'impossibilità di un riscatto, assente perfino nell'illusione. La vita come viaggio senza meta: una satirica e malinconica presa di coscienza condotta con solennità liturgica, che veicola (e giustifica) l'amara visione, affatto catartica e consolatoria, di una religione ormai tristemente commercializzata («Come puoi fare soldi su un perdente crocifisso?»). Un film ostico e stratificato, non facilmente né immediatamente comprensibile, che comunque regala almeno due sequenze memorabili: il Cristo ciondolante dalla croce, sconcertante simbolo di una fede che vacilla, e l'emblematico (nonché calzante) finale. Presentato in concorso alla 53ª edizione del Festival di Cannes, dove vinse il premio della giuria. Fotografia di István Borbás, Jesper Klevenås e Robert Komarek.
«It's not easy being human». Primo capitolo di un trittico surrealista (con i successivi You, the Living, 2007, e Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, 2014) dedicato all'assurdità dell'esistenza, scritto e diretto dallo svedese Roy Andersson. Ispirandosi a un poema di César Vallejo, il regista mette in scena il grottesco connaturato al quotidiano, con uno stile limpido e cristallino (i quadri fissi, simmetrici e luminosi, a simbolizzare la staticità di una società al collasso) che fa emergere per contrasto la desolazione imperante. Consumismo, crisi economica, omologazione di massa: le piaghe contemporanee sono sviscerate con ironia e tenerezza (lo sguardo autoriale si fonde partecipe con quello dei disperati protagonisti, ridotti a manichini inerti), denunciando l'impossibilità di un riscatto, assente perfino nell'illusione. La vita come viaggio senza meta: una satirica e malinconica presa di coscienza condotta con solennità liturgica, che veicola (e giustifica) l'amara visione, affatto catartica e consolatoria, di una religione ormai tristemente commercializzata («Come puoi fare soldi su un perdente crocifisso?»). Un film ostico e stratificato, non facilmente né immediatamente comprensibile, che comunque regala almeno due sequenze memorabili: il Cristo ciondolante dalla croce, sconcertante simbolo di una fede che vacilla, e l'emblematico (nonché calzante) finale. Presentato in concorso alla 53ª edizione del Festival di Cannes, dove vinse il premio della giuria. Fotografia di István Borbás, Jesper Klevenås e Robert Komarek.