
Heimat
Heimat – Eine Chronik in elf Teilen
Durata
931
Formato
Regista
Oltre cinquant'anni di storia della Germania, dal 1919 al 1982, attraverso la vicende della famiglia Simon, residente a Schabbach, piccolo villaggio nell'Hunsrück. Paul Simon (Dieter Schaad), tornato dalla Grande guerra sposa la figlia del borgomastro, Maria (Marita Breuer), avendo da lei due figli, Ernst (Michael Kausch) e Anton (Mathias Kniesbeck). Un giorno Paul, improvvisamente, lascerà il villaggio per non farvi ritorno.
Concepito per la televisione tedesca e suddiviso in 11 episodi-capitoli per un totale di oltre 15 ore di durata, Heimat è la prima parte di un progetto titanico concepito da Reitz con lo scopo di raccontare la storia tedesca del Novecento attraverso la lente delle piccole-grandi storie di una famiglia di un piccolo villaggio tedesco. Ne risulta un complesso affresco storico-emotivo teso all'esplorazione del concetto dell'Heimat, termine polivalente e non traducibile con un solo termine: è sì la patria, ma innanzitutto il suolo natio, la terra dei padri, il luogo delle radici e del radicamento, il luogo fisico e trascendente che definisce la nostra esistenza, il punto di partenza e di ritorno di ogni vita. Reitz – che aveva già esplorato, anche se indirettamente, la traduzione cinematografica di questo concetto nei suoi film precedenti, in particolare ne Il viaggio a Vienna (1973) e in Ora zero (1977) – con Heimat dà il via a un percorso formale-contenutistico radicale e allo stesso tempo classico, dove la storia di un popolo chiave dell'occidente si fa scorgere tra le pieghe delle vite di piccoli uomini e donne, con i loro amori e i loro dolori, le loro aspirazioni e le loro speranze, le loro delusioni e le loro cadute, le loro ingenuità e le loro saggezze in un flusso narrativo al limite della perfezione ove la cronaca si fa saga familiare e l'immagine cinematografica si fa poesia pura, attingendo all'universale tanto della Storia quanto dell'Umano. Ne sia esempio l'utilizzo del bianco e nero e del colore, dove quest'ultimo evidenzia i ricordi importanti, i momenti di isolata felicità nella tragedia della Storia, in alternanza con il bianco e nero a sottolineare la quotidianità, il dramma, i ricordi più difficili, il controscena della memoria. L'universo-mondo di Heimat, sinfonia narrativa e al tempo stesso componimento poetico tra la tradizione romantica e quella civile brechtiana, si dispiega dunque in un'opera stratificata, in cui le diverse direttrici (narrative, storiche, filosofiche, antropologiche, emotive, poetiche, letterarie, artistiche e cinematografiche) si intrecciano inesorabilmente come il complesso albero genealogico della famiglia Simon ricostruito da Glassisch (Kurt Wagner), il narratore-cantastorie di ogni episodio che riepiloga e connette tutti gli avvenimenti con l'incertezza del punto di vista parziale e al tempo stesso con la conoscenza del narratore onnisciente. Quasi ogni episodio, infatti, è da lui introdotto utilizzando decine di foto, forse mai neanche scattate davvero. Sceneggiatura di Edgar Reitz e Peter F. Steinbach, fotografia di Gernot Roll e musiche di Nikos Mamangakis.
Concepito per la televisione tedesca e suddiviso in 11 episodi-capitoli per un totale di oltre 15 ore di durata, Heimat è la prima parte di un progetto titanico concepito da Reitz con lo scopo di raccontare la storia tedesca del Novecento attraverso la lente delle piccole-grandi storie di una famiglia di un piccolo villaggio tedesco. Ne risulta un complesso affresco storico-emotivo teso all'esplorazione del concetto dell'Heimat, termine polivalente e non traducibile con un solo termine: è sì la patria, ma innanzitutto il suolo natio, la terra dei padri, il luogo delle radici e del radicamento, il luogo fisico e trascendente che definisce la nostra esistenza, il punto di partenza e di ritorno di ogni vita. Reitz – che aveva già esplorato, anche se indirettamente, la traduzione cinematografica di questo concetto nei suoi film precedenti, in particolare ne Il viaggio a Vienna (1973) e in Ora zero (1977) – con Heimat dà il via a un percorso formale-contenutistico radicale e allo stesso tempo classico, dove la storia di un popolo chiave dell'occidente si fa scorgere tra le pieghe delle vite di piccoli uomini e donne, con i loro amori e i loro dolori, le loro aspirazioni e le loro speranze, le loro delusioni e le loro cadute, le loro ingenuità e le loro saggezze in un flusso narrativo al limite della perfezione ove la cronaca si fa saga familiare e l'immagine cinematografica si fa poesia pura, attingendo all'universale tanto della Storia quanto dell'Umano. Ne sia esempio l'utilizzo del bianco e nero e del colore, dove quest'ultimo evidenzia i ricordi importanti, i momenti di isolata felicità nella tragedia della Storia, in alternanza con il bianco e nero a sottolineare la quotidianità, il dramma, i ricordi più difficili, il controscena della memoria. L'universo-mondo di Heimat, sinfonia narrativa e al tempo stesso componimento poetico tra la tradizione romantica e quella civile brechtiana, si dispiega dunque in un'opera stratificata, in cui le diverse direttrici (narrative, storiche, filosofiche, antropologiche, emotive, poetiche, letterarie, artistiche e cinematografiche) si intrecciano inesorabilmente come il complesso albero genealogico della famiglia Simon ricostruito da Glassisch (Kurt Wagner), il narratore-cantastorie di ogni episodio che riepiloga e connette tutti gli avvenimenti con l'incertezza del punto di vista parziale e al tempo stesso con la conoscenza del narratore onnisciente. Quasi ogni episodio, infatti, è da lui introdotto utilizzando decine di foto, forse mai neanche scattate davvero. Sceneggiatura di Edgar Reitz e Peter F. Steinbach, fotografia di Gernot Roll e musiche di Nikos Mamangakis.