Un uomo (Thommy Berggren) si muove smarrito nella provincia svedese, trovando lavoro come cameriere in un hotel. Verrà coinvolto nei loschi traffici di Gustav Svensson (Willie Andréason) e tenterà una relazione platonica con la collega Anna (Mona Seilitz), ma la tragedia è in agguato.

Dopo A Swedish Love Story (1970), Roy Andersson scrive e dirige il suo secondo lungometraggio, mirando a delineare l'alienazione e l'incapacità empatica di un protagonista che diventa simbolo del degrado comune di un'intera società. La crudeltà del genere umano (emblematica la sequenza in cui Gustav spegne la sigaretta sul palmo di un ubriaco) tratteggiata attraverso ritualità, dilatazioni spaziotemporali e amplificazione di dettagli: ambizioni elevate, ma l'apparente volontà di veicolare una marca autoriale a ogni costo rischia di ridurre il tutto alla maniera, rendendo il film un puro esercizio di stile. Andersson abbozza stilisticamente ciò che caratterizzerà le sue opere future (Songs From the Second Floor, 2000; You, the Living, 2007; Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, 2014), evocando geometrie visive e quadri simmetrici attraverso una macchina da presa quasi immobile: il risultato, però, appare forzato e assai poco funzionale. Disturbante, in ogni caso, la rappresentazione di un'umanità emozionalmente catatonica. Non convince la colonna sonora di Björn Isfält.
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