La resa dei conti finale è arrivata per Jason Bourne (Matt Damon), ex killer della Cia con la memoria azzerata che cerca di ricostruire il proprio passato. Grazie all'aiuto delle agenti Pam Landy (Joan Allen) e Nicky Parsons (Julia Stiles), Bourne scopre che dietro tutte le sue vicissitudini c'è l'oscuro Noah Vosen (David Strathairn), responsabile del programma segreto della Cia conosciuto come Blackbriar.

Terzo episodio della serie spionistica ispirata ai romanzi di Robert Ludlum (in questo caso a Il ritorno dello sciacallo). Il tasso di spettacolarità aumenta, le sequenze d'azione spericolate fioccano, la macchina da presa è mobilissima e il montaggio è frenetico è trascinante, ma la riuscita del film è legata principalmente al maggiore spessore psicologico che viene conferito al personaggio dell'ex agente segreto affetto da amnesia. Così i punti oscuri del suo passato vengono finalmente chiariti e dietro alla confezione impeccabile da robusto thriller si rivelano sottotesti politici non banali. Meno granitico e più umano (quindi fragile e fallibile), Jason Bourne diventa dunque personaggio a tutto tondo ed emblema di un'America ferita e priva d'identità, manipolata dalle perversioni del potere, sopraffatta dalle proprie paure e votata all'individualismo. Forse non tutto funziona alla perfezione a livello di scrittura (Tony Gilroy, sceneggiatore dei primi due film, è stato affiancato da Scott Z. Burns, George Nolfi e Tom Stoppard – quest'ultimo non accreditato – e il risultato finale ne risente a livello di omogeneità), ma l'intrattenimento è di livello, garantito dalla regia nervosa e sempre sorprendente di Greengrass. Tre Oscar: miglior montaggio, montaggio del suono e missaggio sonoro. La serie è continuata con The Bourne Legacy (2012), spin-off diretto da Gilroy e interpretato da Jeremy Renner.