La tartaruga rossa
La tortue rouge
2016
Mubi
Paesi
Francia, Belgio
Genere
Animazione
Durata
80 min.
Formato
Colore
Regista
Michael Dudok de Wit
Dopo un naufragio su un’isola tropicale, un uomo è costretto a lottare per sopravvivere; sulla sua strada fa irruzione una tartaruga rossa gigante che gli mette i bastoni tra le ruote. Una volta venuto meno l’animale, che muore su una spiaggia, compare una ragazza la quale dà vita, insieme all'uomo, a un nuovo Paradiso Terrestre in cui i due sono gli unici abitanti.

Il risultato dell’incontro tra l’Europa e lo Studio Ghibli è un film d’animazione magico e fuori dal tempo, che ricorre alla condizione ancestrale e primordiale dell’uomo solo sulla faccia della Terra per sfoderare una serie infinita di suggestioni poetiche e trovate immaginifiche. Una vicenda paradigmatica e universale al servizio di una fiaba dai contorni filosofici scritta dalla francese Pascale Ferran e diretta dall’olandese Michael Dudok de Wit, che prendono sulle proprie spalle la pesante eredità dello storico studio d’animazione giapponese, riuscendo però a preservarne inviolati l’incanto figurativo e la complessità tematica. La commovente ed estasiante semplicità de La tartaruga rossa, gravida però di spessore e di elementi di interesse, è da ricondurre anche alla consulenza creativa e alla vicinanza al progetto del produttore artistico Isao Takahata, nome storico dello Studio Ghibli e già regista di La tomba delle lucciole (1988) e La storia della Principessa Splendente (2013); ma Dudok de Wit, dal canto suo, dimostra di essere perfettamente in linea con le coordinate espressive dell’animazione nipponica e con i suoi dettami non solo estetici. L’assenza totale di dialoghi sposta tutto l’interesse a favore delle immagini, assecondando un flusso audiovisivo che si articola e si carica di senso con il passare dei minuti, tra implicazioni ecologiste e filosofiche, squarci pittorici e sapienti alternanze cromatiche, utili a sottolineare l’alternanza tra il giorno e la notte ma anche tra la veglia e il sonno e tra la realtà e l’incubo. Proprio la riflessione sul colore, unita a un discorso altrettanto abbagliante sullo scorrere del tempo, fanno del film un gioiello minimalista capace di trasformare perfino le ellissi, le ripetizioni e gli eterni ritorni della narrazione (e della vita) in materia pulsante. Splendido il finale che colpisce dritto al cuore. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2016 nella sezione Un Certain Regard.
Maximal Interjector
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