A Serbian Film
Srpski film
Durata
104
Formato
Regista
Ritiratosi dal mondo del porno per dedicarsi a una serena vita familiare, l'attore hard Miloš (Srđan Todorović) accetta di tornare al vecchio lavoro in cambio di un'enorme somma di denaro. A coinvolgerlo in una non ben specificata e “innovativa” produzione, l'ambiguo Vukmir (Sergej Trifunović): la situazione, ben presto, degenererà fino a trasformarsi in un aberrante incubo.
Un calcolato, agghiacciante e affatto salutare pugno nello stomaco, strutturato dall'esordiente Srđan Spasojević (anche sceneggiatore con Aleksandar Radivojević) per tentare di veicolare lo stallo della Serbia («Tutta la fottuta nazione non è altro che un merdoso asilo»), paese violentato da conflitti intestini e da un dispotico potere precostituito. La discesa all'inferno del protagonista, tra velleità di denuncia (il presunto squallore dell'universo pornografico, che la regia riesce solo a esaltare tramite tendenze morbosamente voyeuristiche), ipocriti intermezzi (i siparietti tra Miloš e il figlioletto) e metafore socio-politiche, dovrebbe, nelle intenzioni autoriali, risultare funzionale al messaggio di base; ma Spasojević, dimostrando una desolante disonestà d'intenti, compie il processo inverso, arrivando a nauseare con un'insostenibile sequela di nefandezze (masturbazioni, fellatio, percosse, tendenze pedofile, decapitazioni, fino all'agghiacciante e stomachevole stupro neonatale) e perseverando in pretestuose derive pseudoartistiche, quasi a voler sfoggiare una dignità inesistente. Un cinema impietoso e indifferente, il cui intento primario è spingersi oltre il rappresentabile: ambizioni miseramente fallite per un'operazione che si può definire soltanto abominevole. Lo stile, in ogni caso, cupo, malsano ed esaltato da una fotografia quasi onirica, colpisce nel segno in alcune (rarissime) occasioni. Prevedibili polemiche e ovvia messa al bando in parecchi stati.
Un calcolato, agghiacciante e affatto salutare pugno nello stomaco, strutturato dall'esordiente Srđan Spasojević (anche sceneggiatore con Aleksandar Radivojević) per tentare di veicolare lo stallo della Serbia («Tutta la fottuta nazione non è altro che un merdoso asilo»), paese violentato da conflitti intestini e da un dispotico potere precostituito. La discesa all'inferno del protagonista, tra velleità di denuncia (il presunto squallore dell'universo pornografico, che la regia riesce solo a esaltare tramite tendenze morbosamente voyeuristiche), ipocriti intermezzi (i siparietti tra Miloš e il figlioletto) e metafore socio-politiche, dovrebbe, nelle intenzioni autoriali, risultare funzionale al messaggio di base; ma Spasojević, dimostrando una desolante disonestà d'intenti, compie il processo inverso, arrivando a nauseare con un'insostenibile sequela di nefandezze (masturbazioni, fellatio, percosse, tendenze pedofile, decapitazioni, fino all'agghiacciante e stomachevole stupro neonatale) e perseverando in pretestuose derive pseudoartistiche, quasi a voler sfoggiare una dignità inesistente. Un cinema impietoso e indifferente, il cui intento primario è spingersi oltre il rappresentabile: ambizioni miseramente fallite per un'operazione che si può definire soltanto abominevole. Lo stile, in ogni caso, cupo, malsano ed esaltato da una fotografia quasi onirica, colpisce nel segno in alcune (rarissime) occasioni. Prevedibili polemiche e ovvia messa al bando in parecchi stati.