Il pianista e compositore ungherese Franz Liszt (Roger Daltrey) è una celebrità del suo tempo: amato fino al delirio da folle di melomani, per lo più di sesso femminile, riverito e circondato da altri giganti della musica del suo tempo, conteso da donne bellissime, odiato dai loro mariti.

Ken Russell sceneggia e dirige un caleidoscopio di fantasticherie folli ed esagerate, attraversate da un immaginario pop invadente e del tutto disinteressato al verosimile o a una qualche misura. Il punto di partenza è interessante: la “lisztomania”, termine coniato dal poeta tedesco Heinrich Heine, è la prima forma attestata di fandom musicale, progenitrice diretta dei deliri inaugurati dai Beatles all'alba dei Sessanta. Lo stesso anno di Tommy (1975), ancora con un Roger Daltrey protagonista e interprete di una riscrittura rock delle musiche di Liszt, il regista realizza un biopic affossato dalle sue esagerazioni: talmente eccessivo da risultare incoerente. Il copione, inoltre, è fragilissimo e contribuisce ai pessimi esiti complessivi. Ringo Starr, e siamo comunque all'unico momento che renda il film degno di memoria, è il Papa. Fotografia di Peter Suschitzky.
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