ABC Africa
Durata
83
Formato
Regista
Su richiesta di un organismo delle Nazioni Unite, Kiarostami visita Kampala, in Uganda, per documentare la drammatica situazione delle migliaia di bambini orfani a causa dell'AIDS. Il suo reportage offre uno sguardo inedito sull'Africa, sui suoi problemi e sulla sua insopprimibile vitalità.
Da sempre attratto dal mondo dell'infanzia, con cui ha manifestato negli anni una profonda e radicata sintonia, il cineasta iraniano si immerge nella durissima realtà umana delle migliaia di bambini che hanno perso i genitori a causa dell'HIV, o che ne sono stati contagiati. Già a partire dal titolo, ABC Africa, è enunciata la sua intenzione di lavorare sulla fondamenta del genere documentario, ponendole al servizio di una causa di straordinaria rilevanza sociale e politica. Per non perdere nulla dell'impatto ravvicinato con il crudo continente da raccontare, Kiarostami costruisce il suo film accostando riprese di videocamere digitali centrate sui volti e sulla prorompente energia dei bambini. Un brulicante stuolo di piccoli osservatori interagisce, osservato, con l'occhio della camera, intessendo un dialogo con lo spettatore che, pur facendo a meno delle parole, non può lasciare indifferenti. Se questi momenti rappresentano la grande forza del film, meno convincenti risultano alcuni passaggi che eccedono in durezza o scivolano troppo nella commiserazione. Un lampo di grande cinema illumina invece, letteralmente, una lunga sequenza completamente buia, culmine di un linguaggio filmico che per il cineasta iraniano è sempre luogo di ricerca e sperimentazione.
Da sempre attratto dal mondo dell'infanzia, con cui ha manifestato negli anni una profonda e radicata sintonia, il cineasta iraniano si immerge nella durissima realtà umana delle migliaia di bambini che hanno perso i genitori a causa dell'HIV, o che ne sono stati contagiati. Già a partire dal titolo, ABC Africa, è enunciata la sua intenzione di lavorare sulla fondamenta del genere documentario, ponendole al servizio di una causa di straordinaria rilevanza sociale e politica. Per non perdere nulla dell'impatto ravvicinato con il crudo continente da raccontare, Kiarostami costruisce il suo film accostando riprese di videocamere digitali centrate sui volti e sulla prorompente energia dei bambini. Un brulicante stuolo di piccoli osservatori interagisce, osservato, con l'occhio della camera, intessendo un dialogo con lo spettatore che, pur facendo a meno delle parole, non può lasciare indifferenti. Se questi momenti rappresentano la grande forza del film, meno convincenti risultano alcuni passaggi che eccedono in durezza o scivolano troppo nella commiserazione. Un lampo di grande cinema illumina invece, letteralmente, una lunga sequenza completamente buia, culmine di un linguaggio filmico che per il cineasta iraniano è sempre luogo di ricerca e sperimentazione.