Il sapore della ciliegia

Ta'm e guilass

Premi Principali

Palma d'oro al Festival di Cannes 1997

Anno

Paese

Generi

Durata

95

Formato

Un uomo (Homayon Ershadi) viaggia in automobile da solo, lungo strade sterrate della periferia di Teheran. Alla ricerca di qualcuno che possa esaudire una sua particolare richiesta, interpella tre persone: una giovane recluta curda, un seminarista afgano e un anziano tassidermista turco.

È il titolo che ha consacrato l'iraniano Kiarostami alla notorietà del pubblico internazionale, grazie a una storica Palma d'oro conquistata al cinquantesimo Festival di Cannes. Struggente apologo sul valore del vivere e del morire, non è il film più elaborato e inventivo sul piano formale del regista, ma ha suscitato interesse in tutto il mondo in virtù della controversa tematica trattata e del modo originale, poetico, "crudo" e spiazzante di risolverla. Non è nemmeno un film sull'eutanasia o sul suicidio come erroneamente si potrebbe ritenere, quanto piuttosto una profonda riflessione sulla pietas e sulle responsabilità, individuali e collettive, del vivere e del morire. Le reazioni dei tre interlocutori alla sconvolgente richiesta del protagonista, interpretato da un eccellente Homayon Ershadi, sono le nostre: paura, sconcerto, desiderio di spendersi per ribaltare i propositi di morte dell'altro. Il loro sguardo sul protagonista, durante i lunghi dialoghi all'interno dell'automobile, si sovrappone al nostro grazie a un uso sapiente del fuori campo, in un avvolgente oscillazione di pieno e di vuoto. Il senso complessivo del film si rivela tuttavia nella inattesa e sorprendente sequenza finale: un disvelamento metacinematografico che ci mostra il regista e la sua troupe sul set del film, forzando i confini del cinema e della vita stessa con una purezza e un candore disarmanti e mostrandoci la nudità tanto della vita riprodotta sullo schermo quanto del dietro le quinte necessario a trasporla. Se Il sapore della ciliegia è un film sulla morte, lo deve soprattutto, ci ricorda Kiarostami, al suo essere cinema, ovvero morte al lavoro ventiquattro fotogrammi al secondo.
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