American Dream

American Dream

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98

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1985. Nel Minnesota, per opporsi a un contratto di lavoro che avrebbe ridotto notevolmente la loro paga, un gruppo di operai cerca di far valere le proprie posizioni attraverso uno sciopero di sei settimane che diventerà un evento nazionale.



Barbara Kopple aveva già provato a raccontare in un suo documentario, Harlan County U.S.A. (1976), vicende legate a uno sciopero conclusosi con un lieto fine. Ora, supportata dietro la macchina da presa da altri tre autori, cerca di bissare nuovamente il successo, costellato da reazioni controverse e indignazioni, e l'audacia che caratterizzavano la pellicola precedente. American Dream è sicuramente un film curioso e convincente anche se leggermente meno accattivante e sorprendente dell'opera recedente, ma presenta comunque i suoi motivi d'interesse e un temperamento non indifferente, saettante, acido e poco disposto a compromessi di qualsiasi tipo. Si tratta infatti di un'operazione che prova a far luce sulle cause e gli sviluppi della protesta del Minnesota, ma si rivela in fin dei conti più efficace per le provocazioni che infiamma, in modo esemplificativo fin dal titolo, e per via delle modalità con cui le cavalca. Il fine dichiarato è per l'appunto quello di disilludere in qualche modo la solfa propagandistica dell'American Dream, ribaltandone i punti base e quella che di fatto è la sua vera anima, decisamente predatoria e poco egualitaria: il modello del self-made man, in sostanza, non dovrebbe guardare solo alla gloria, alla fama e al successo, ma più semplicemente a valori fondanti come lealtà e correttezza, da non intendere non più soltanto come candide utopie. Un sogno americano da riscrivere integralmente, insomma, per far sì che sia realmente alla portata degli umili e davvero di chiunque. Un messaggio enunciato non senza qualche didascalismo di troppo e un ritmo pedante e più ridondante del dovuto (forse ostacolato dalle troppe menti a capo del progetto), che riesce a parlare allo spettatore con genuinità ammirevole ma anche con eccessivi sbrodolamenti, che alla lunga compromettono il film in modo irrimediabile, spingendolo dalle parti del sermone. Oscar come miglior documentario, in ogni caso.
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